I diritti femminili contano più di un Mondiale

Il calcio iraniano si è schierato al fianco delle proprie donne, sostenendo un popolo in rivolta
“Nel peggiore dei casi verrò allontanato dalla Nazionale. Non c’è problema. Sacrificherei questo anche solo per un capello delle donne iraniane. Vergognatevi per aver ucciso così facilmente. Lunga vita alle donne iraniane”
Le parole di Sardar Azmoun, il ‘Messi d’Iran’ attualmente in forza al Bayer Leverkusen, hanno squarciato un velo di omertà divenuto ormai impossibile da sostenere. Il punto di riferimento della nazionale allenata da Carlos Queiroz ha utilizzato questo durissimo statement social per protestare contro l’omicidio della 22enne Masha Amini, uccisa, stando a ricostruzioni esterne agli apparati statali, dalla polizia religiosa iraniana per aver indossato impropriamente il velo.
Le manifestazioni di massa seguite a questo avvenimento hanno portato a circa 100 morti e oltre 1500 arresti nelle piazze di Teheran e di molte altre città. Le proteste hanno visto il coinvolgimento di migliaia di donne che, in molti casi, hanno deciso simbolicamente di togliere il velo e tagliarsi ciocche di capelli. Quest’ondata d’indignazione sociale ha condotto all’omicidio di uno dei volti prominenti della sollevazione popolare, la ventenne Hadis Najafi, freddata da 6 colpi di pistola.
Il rumorosissimo silenzio degli sportivi iraniani è stato interrotto da Azmoun e, precedentemente, da una leggenda dell’intero calcio asiatico, il ‘Maradona d’Asia’ Ali Karimi. L’ex giocatore del Bayern Monaco e dello Schalke 04 ha invocato una presa di posizione attiva da parte degli oltre 12 milioni di follower. Strenuo oppositore dell’attuale governo, Karimi ha chiesto di diffidare delle bugie governative e ha supplicato l’esercito di evitare lo scontro con i civili. Ora Karimi è stato definito ‘rivoltoso’ da alcune agenzie filogovernative ed è tornato a rischiare per la propria incolumità, come già accaduto in molto altre battaglie sociali combattute, per esempio, a favore dell’ingresso delle donne negli stadi e contro il supporto statale a gruppi di milizie radicali in Libano, Iraq e Gaza.
L’erede Azmoun, insieme ai compagni di Nazionale, ha fatto seguire alle parole di denuncia un significativo atto dimostrativo. Poco prima della partita giocata contro il Senegal, l’undici di Queiroz ha coperto con giacche nere simboli e riferimenti al proprio Paese, inscenando di fatto un lutto collettivo. Azmoun è tornato ad esprimersi ieri, con un lungo post Instagram dedicato alla pallavolo femminile iraniana, elogiando le giocatrici per il coraggio dimostrato nell’affrontare e sovvertire quotidianamente tabù e pregiudizi. “Spero che le donne del mio Paese possano smettere di soffrire”, questa la chiosa del suo testo.
L’attaccante del Leverkusen in questo momento rischia seriamente la partecipazione ai Mondiali qatarioti: un sacrificio che, stando alle sue parole, sarà orgoglioso di fare per un bene più grande. Nell’Iran contemporaneo, d’altronde, paiono ben altre le questioni da affrontare e le partite da giocare. L’elite calcistica del Paese ha preso una posizione decisa in questo momento di precarietà sociale, ha preso le parti delle donne iraniane e dei loro diritti: a dimostrarlo anche l’oscuramento volontario delle immagini profilo di quasi tutti i membri della Nazionale. Voltando le spalle al pavido silenzio e all’omertà, Azmoun, Karimi e l’elite calcistica iraniana hanno dimostrato, ancora una volta, come lo sport e gli sportivi possano essere il più potente strumento d’ispirazione, di conforto e di trasmissione di coraggio collettivo: coraggio che, ad oggi, non sappiamo dove potrà condurre.
Testo a cura di Gianmarco Pacione
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