Hasse Jeppson, il primo re del Calciomercato

Storia dello svedese chiamato ‘Banco di Napoli’
“Gesù, è caduto ‘o Banco ‘e Napule”, si sentì pronunciare sulle tribune dell’Arturo Collana nel lontano 1952. A terra, dopo un ruvido contrasto, era finito l’attaccante svedese Hasse Jeppson.
Era sbarcato in terra partenopea poche settimane prima, al termine di una trattativa lampo, di un affare di mercato che ebbe del clamoroso.
L’armatore Achille Lauro, padre padrone del Napoli e della Napoli post bellica, decise che l’acquisto di Hasse ‘Guldfot’ (Hasse ‘Piede d’oro’) fosse il passo in avanti decisivo per conquistare il suo popolo, per portare a compimento il fenomeno politico-sociale del ‘laurismo’.
Serviva una grande punta agli Azzurri, serviva un grande nome per la città, e Jeppson incarnava esattamente il prototipo di eroe esotico che tanto avrebbe affascinato l’intera comunità vesuviana.

Arrivava dal lontano nord, era giunto in Italia spinto dalle correnti scandinave, da un grande Mondiale giocato da capitano nel ’50, dove raccolse il testimone del mito svedese Nordahl, e da una mezza stagione nel Charlton da 12 gol in 12 partite.
Era transitato da Bergamo, un passaggio fugace e incisivo, dove con 22 gemme salvò la ‘Dea’ da una probabile retrocessione.
Il biondo vichingo entrò immediatamente nel mirino di tutte le big nostrane. Si fece avanti l’Inter, o almeno, voci insistenti ritrassero Jeppson vicinissimo alla sponda nerazzurra di Milano.
Il ‘Comandante’ Lauro, pressato dall’opinione pubblica, chiuse due valige e partì verso Bergamo. All’Atalanta andarono 75 milioni di lire, al calciatore 30: cifre folli, inverosimili per un periodo storico in cui lo stipendio mensile di un medio borghese equivaleva a 100 mila lire, inaspettate per un calcio che non aveva ancora assistito a cascate auree così copiose.

‘Mr. 105’. Il popolo napoletano, elettrizzato dal nuovo acquisto, si abbandonò immediatamente all’ancestrale necessità di etichettare lessicalmente, di rendere il neoarrivato parte integrante del grande carosello verbale cittadino.
Nacquero contestualmente folcloriche dicerie: come quella che voleva la punta svedese pagata quanto l’intero patrimonio del Banco di Napoli, istituto di credito fondato nel Regno delle Due Sicilie nel lontano 1539. Gli spalti dell’Arturo Collana iniziarono così a sospirare, assistendo atterriti ai duri contatti subiti dal dorato Jeppson.
“Quando vidi Napoli rimasi incantato. Aveva quell’odore di mare che mi riportava all’infanzia, quando stavo sugli scogli della mia Kungsbacka”. Fu da subito un amore ricambiato, quello tra Jeppson e la città vesuviana, un amore costellato di tante emozioni contrastanti.

Per le bollenti gradinate del Collana Jeppson fu croce e delizia. Nelle quattro stagioni trascorse a Napoli alternò reti di rara bellezza a errori grossolani, quasi imbarazzanti. Una caratteristica tecnica ed emozionale che descrisse alla perfezione il suo connazionale Lennart Skoglund: “È tanto fenomenale nel segnare come nello sbagliare gol”.
Non è un caso se, a oltre mezzo secolo di distanza, nei rioni napoletani si può ancora ascoltare un’imprecazione entrata ormai nel gergo comune cittadino: quel “Uanema ‘e Jeppson!”, “Mannaggia a Jeppson!”, che tanto popolò i cieli napoletani negli anni ’50 e che oggi risulta poco più di una sbiadita, arcaica usanza linguistica.
Ad incrinare il rapporto con la società non furono tanto i gol sbagliati, quanto la spasmodica passione per le donne, per il tavolo da poker e per il tennis. Jeppson, difatti, sapeva vivere bene: tra Napoli e Roma aveva trovato il suo universo perfetto, un habitat fatto d’intense liaison, lunghe nottate di scommesse e racchettate da professionista.
Proprio sotto rete conobbe la nota tennista Silvana Lazzarino, con cui colorò le cronache rose italiane per mesi; proprio con il dritto e il rovescio sconfisse Horst Hermann (secondo giocatore del ranking tedesco), partecipando sotto mentite spoglie al torneo indetto dal Tennis Club Napoli.

Dopo un lungo tira e molla con il sindaco-patron Achille Lauro, Jeppson venne venduto al Torino. Fu Lauro stesso a preferire una minusvalenza allo sgarbo di vedere un suo pupillo in maglia interista o juventina.
Nonostante l’addio burrascoso, la figura di Jeppson restò incisa a fuoco nel cuore dei napoletani. A dimostrarlo anche il saluto affettuoso riservatogli nel 2008, allo Stadio San Paolo, dove l’ormai ottantenne svedese si vide travolto dall’affetto di nostalgici e antichi aficionados.
Hasse Jeppson è morto a Roma nel febbraio 2013, dopo il ritiro si era stabilito in Italia e aveva lavorato come manager lungo tutta la penisola. Il suo nome, il nome del primo grande colpo di mercato della storia calcistica italiana, però, riecheggia ancora nelle strade partenopee.
Gianmarco Pacione
Sources & Credits
2 settembre 2020
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