Gramicci, oltre l’arrampicata

Negli anni ’80 Mike Graham, un ribelle delle pareti, creò un brand destinato alla leggenda
Immaginate gli strascichi dei ribelli anni ’70, immaginate un’accogliente ombra che si allunga, ora dopo ora, ai piedi del superbo Half Dome, sperone granitico incastonato nel cuore dello Yosemite Park.
Immaginate la California psichedelica, vissuta sulle note di Jimi Hendrix, popolata da giovanissimi dalle barbe incolte, da corpi che s’immolano su pareti verticali alla ricerca della libertà sensoriale, alla ricerca di obiettivi da conquistare mano dopo mano, appiglio dopo appiglio.
Immaginate, semplicemente, una Woodtsock dell’arrampicata, una comune dell’ascensione, dove l’eccesso dello sforzo fisico si alterna all’incantato vociare faunistico della Sierra Nevada.
Ora immaginate che quell’enclave umana, abbandonata a picchi adrenalinici ed estasi interiori, abbia dato i natali ad uno dei brand più iconici dell’universo outdoor. Ecco, state immaginando Gramicci.

MIKE GRAHAM E L’UTOPIA DELL’HALF DOME
“Never has been, and never will be trodden by human foot”, “Non è mai stato e mai sarà calpestato dal piede umano”. Il geologo Josiah Whitney si riferiva con questa diffidenza alla cupola di roccia sovrastante il parco nazionale Yosemite.
L’Half Dome era utopia, era un vertiginoso abisso tendente al cielo, impossibile da dominare. Almeno all’apparenza. Almeno fino ai chiodi e alle corde di George Anderson, scozzese che per primo, nel 1875, fuggì dall’abisso, raggiungendo la vetta e dando il là ad una sfida che si sarebbe ciclicamente ripetuta per tutto il secolo successivo, arrivando intatta, in tutta la sua potenza suggestiva, ai giorni nostri.
Si ritrovarono alle pendici di quello schermo di roccia, i cosiddetti ‘Stonemasters’, interpreti leggendari dell’arrampicata tra gli anni ’70 e ’80. Ascendevano sotto l’influenza del rock’n’roll e dell’LSD, avevano bandane colorate e maglioni oversize. La sera, quando le tenebre prendevano possesso dell’Half Dome, illuminavano i loro accampamenti con sassofoni e feste vorticose.
Avevano vent’anni o poco più, erano liberi, rischiavano le proprie vite per fondersi con la natura. Non volevano dominare gli elementi, volevano comprenderne più a fondo la primordiale essenza. Tra loro spiccava un adolescente, Mike Graham, un inconsapevole visionario che in quei viaggi sospesi nel vuoto avrebbe raggiunto l’ispirazione per un marchio d’abbigliamento.

LA NASCITA DI GRAMICCI
Avrebbe tinte tricolori la genesi di Gramicci. Tinte incomprensibili, quasi surreali. Pare difatti che Graham, spinto dall’insofferenza verso pantaloni stretti e scomodi, decise d’iniziare a produrre un tipo di materiale tecnico differente, che esulasse dai capi obsoleti utilizzati fino a quel momento per l’arrampicata.
Pare decise di farlo per una prima scalata tutta italiana dell’Half Dome, pare volle italianizzare il suo cognome per onorare i suoi compagni di viaggio. Di italiano in realtà ci fu poco, forse nulla, in quell’ennesimo assalto alla cupola più famosa dello Yosemite. Ci fu solo quel guizzo linguistico: quel Gramicci, ibridazione di Graham, che suonò tanto esotica, quanto efficace per marchiare i capi appena creati.
Sta di fatto che nel suo piccolo garage californiano, Graham si tramutò in creatore, in inventore, ridisegnando i capisaldi dell’abbigliamento outdoor, assecondando la propria visione incentrata sul comfort, sulla praticità, sulla performance.
Arrivò la maggiore libertà a livello inguinale, per aumentare il raggio di appoggio delle gambe, arrivò l’integrazione di una cintura di nylon divenuta, nel tempo, manifesto del brand californiano, arrivarono silhouette votate all’esplorazione, alle pareti. Con esse arrivò anche la fama, prima di nicchia, poi globale.

GRAMICCI NELLA CULTURA URBAN E NELL’ATTUALITÀ
Con lo scoccare degli anni ’90 e la deflagrazione dei movimenti urban legati all’immaginario di skate e surf, Gramicci esondò sugli asfalti metropolitani, trasformandosi in azienda di culto per l’universo streetwear. Il brand californiano, appaiato ad altre realtà internazionali affini, cambiò la percezione di brand tecnico.
Il logo iconico, l’arrampicatore stilizzato e colorato di rosso, da qualche tempo è tornato ad animare le vette del panorama street-sportivo. Restando fedele alle proprie radici naturali, la rinascita di Gramicci si è fondata sulle storiche pietre angolari dell’anima aziendale: l’ecosostenibilità, la contiguità morale ed estetica con i ribelli ‘Stonemasters’, la libertà, che sia essa di movimento o di pensiero.
Concetti universali, non a caso seminati e fioriti anche in luoghi inaspettati, come oltre il Pacifico, nel Sol Levante giapponese, come nell’Europa che partorì i primi esploratori delle montagne (vedi il movimento alpinista dell’Inghilterra vittoriana). Concetti universali, appunto, come l’arrampicata stessa, come le sensazioni provate sulle pareti di tutto il globo. Concetti, da sempre, Gramicci.










Credits
Text Gianmarco Pacione
Ph Rise Up Duo
Related Posts

Átjan Wild Islands, il trail diventa sublime nelle Isole Faroe
Benvenuti nel celebre arcipelago nordico, dove la corsa è un viaggio esperienziale

Sulla Strada del Giro
Benvenuti nei mistici luoghi dove tutto si tinge di Rosa

Barberà Rookies – Empowering Women’s Football
Yard, trionfi e spirito inscalfibile nel reportage di Yuriy Ogarkov

Mind your Soul, Mind the Gap
Lo speciale evento di Runaway spiegato dai suoi protagonisti

Run, and Mind the Gap
Ritratto dell’evento segreto notturno organizzato da Runaway

Di memoria, tennis e Roy Roger’s: Trofeo Fulvio Biondi and Friends
Niccolò Biondi, CEO di Roy Roger’s, racconta il valore di questo annuale appuntamento sottorete per la propria famiglia e per il proprio brand

Le fibre di Napoli
Anatomia visuale dello storico Scudetto napoletano, un reportage di Fabien Scotti

The Mirage
Il viaggio fisico, mentale e visuale di Runaway e della sua crew, un film girato e diretto da Achille Mauri nel cuore della Death Valley

Imilla Skate, la tavola è empowerment femminile e identità ‘Chola’
Il gruppo di pioniere boliviane capaci di unire skate e rivalorizzazione culturale, trick e rivoluzione sociale

Il Sunshine Criterium secondo Magnus Bang
Dall’Austria al Regno Unito, dal football americano a Netflix, la vita per ‘Kelz’ è sinonimo di sfida e crescita