Game Changers – Christopher Raeburn

Circolarità e sostenibilità rimano con heritage personale e passione sportiva nella mente dietro il virtuoso brand RÆBURN
“Quando studiavo al college, le persone mi chiedevano a quale designer o brand volessi ispirarmi. Non riuscivo a dare una risposta precisa, pensavo fosse un problema. In realtà ero semplicemente ossessionato dalle cose del passato, in particolare da pezzi militari originali. Molti miei colleghi erano già allineati a realtà o figure preesistenti, mentre il mio punto di vista era differente. Non sapevo definire che tipo di designer fossi, ma ho iniziato inseguendo le mie idee e sono stato fortunato”
L’evoluzione nasce dal passato. O meglio, l’evoluzione nasce da un nuovo rapporto con il passato, dal suo studio e dalla sua reinterpretazione sostenibile. Christopher Raeburn per il fashion è divenuto ben più di un innovatore. Grazie al suo legame adolescenziale con memorabilia militare e uniformi usate ha cambiato le prospettive di un’intera industria, divenendo attore protagonista di un necessario processo globale: la reinvenzione di un rapporto estremamente negativo, quello tra moda e sostenibilità.
Passione e istinto hanno portato questa mente raffinata, allevata dai placidi panorami dell’Inghilterra meridionale, a fondare l’omonimo brand RÆBURN e a tracciare la strada verso un design responsabile ed intelligente, dedicato tanto alla funzionalità e all’estetica, quanto alla preservazione ambientale. La sua filosofia e il suo team stanno creando adepti in tutto il mondo da oltre un decennio, e stanno permettendo d’infrangere il tabù più oscuro della storia di un’intera industria. Ma partiamo dall’origine.


“Sono cresciuto nelle campagne del Kent insieme a due fratelli. I nostri genitori ci hanno insegnato ad apprezzare la natura. Vivere in una zona isolata ha sprigionato la mia creatività: quando sei un bambino e il negozio più vicino è a miglia di distanza, devi continuamente trovare modi diversi per divertirti. Tra i 12 e i 18 anni ho fatto parte degli Air Cadets, un’organizzazione che avvicina i giovani alla Royal Force. Amavo il calcio, la MTB e il downhill, ma una volta al mese gli Air Cadets ci permettevano di fare cose meravigliose, come imparare a pilotare aerei ed elicotteri. Tutti usavamo delle divise vecchie e terribili, perché costavano poco, così ho iniziato a studiare e a comprare altre uniformi e materiali. Stavo già creando il mio archivio senza saperlo. Curiosamente nel Kent c’è anche una delle più grandi fiere d’Europa dedicata ai materiali militari, mi ha sempre affascinato. Andavo lì il primo giorno, per osservare le cose più rare, e l’ultimo, perché i venditori abbandonavano pile di materiali che ritenevano inutili. Quando ho cominciato il College mi sono reso conto che quei materiali tecnici e waterproof erano gli stessi utilizzati dalle grandi aziende fashion, e spesso risultavano introvabili. La decisione di fondare un brand sostenibile è il prodotto di questo naturale processo cognitivo”
Dalle fiere militari alle passerelle. Da quell’ormai lontana genesi creativa, circolarità e remade mai hanno smesso di rimare con consapevolezza e heritage personale all’interno degli avveniristici laboratori RÆBURN, che sono riusciti a divenire benchmark per una miriade di attori primari, e non solo, del panorama fashion. Oggi il quarantenne Christopher Raeburn dirige dalla propria base londinese l’ascesa di un brand divenuto manifesto dell’insperata sinergia tra ecosistema naturale e produzione fashion. Lo fa ispirando e facendosi ispirare, procedendo in una direzione essenziale non solo per il destino della propria industria, ma per la salvaguardia dell’intera umanità.
“La fashion industry ha dimostrato di avere il potenziale per rinnovarsi velocemente. Negli ultimi decenni ho visto anche cambiare la narrativa legata alla sostenibilità. Vent’anni fa ho ideato la mia prima remade jacket ed è stata recepita come una proposta estremamente radicale. Poche stagioni dopo quel primo progetto, tutti potevano già riscontrare esempi tangibili di quanto la filosofia green avesse iniziato a penetrare concretamente le vision di moltissimi brand. Ripeto, non molte industrie hanno la possibilità di evolversi agli stessi ritmi dell’industria fashion. Sono dinamiche spinte specialmente dai grandi brand sportivi, che sono continuamente focalizzati sulla ricerca di nuovi materiali. Quando ho fondato il mio brand alcuni materiali riciclati costavano in media il 30-50% in più rispetto a materiali non riciclati, oggi hanno un costo equivalente. Allo stesso tempo la digitalizzazione e i social ci stanno aiutando a comunicare determinati valori e azioni, e la tecnologia in generale sta aprendo vie infinite per la sostenibilità fashion. In quest’industria così caotica ci sono molti margini per ridurre i rischi d’inquinamento e gli sprechi, basta essere intelligenti. Tutto può essere utile: agli esordi del mio brand ho scoperto per esempio la preziosità dei paracaduti. Pensate che ogni paracadute, anche se mai utilizzato, viene dismesso dieci anni dopo la sua creazione e i suoi materiali possono essere riutilizzati per l’abbigliamento”



I razionali, quanto avveniristici dogmi di Christopher Raeburn paiono delle verità assolute così potenti, eppure così complesse da tradurre in azioni. Sono punti cardine da cui ogni maison e ogni catena di produzione dovrebbero attingere, plasmando una nuova direzione collettiva. Sono il progresso che smette di essere stile fine a sé stesso, sublimando il design nell’attivismo. Ecco perché giganti come Timberland e Moncler si sono affidati al pensiero di questo innovatore inglese, ecco perché brand iconici come Vans hanno voluto collaborare con l’universo mosso dalla filosofia ‘RÆMADE, RÆDUCED, RÆCYLED’, ecco perché la mente di Christopher ha deciso di cominciare ad incidere sul tanto amato panorama sportivo.
“La vera domanda è una sola: come possiamo cambiare e fare la differenza su scala globale? Ho avuto e sto avendo la possibilità di collaborare con vari brand per perseguire questo obiettivo. Mi riferisco a marchi universalmente riconosciuti, con Timberland per esempio sto sviluppando un percorso comune da molto tempo. Ogni collaborazione viene valutata da me e dal mio team, perché vogliamo che sia credibile e corretta. A volte siamo cinici, ma dobbiamo proteggere i nostri valori. Anche lo sport rientra in questo ragionamento. Penso per esempio alla nostra collezione con Vans, brand iconico legato alla cultura skate e al concetto di funzionalità sportiva, ma anche al recente sviluppo del progetto KIT:BAG, interamente dedicato al calcio. Il calcio è un fil rouge della mia vita fin dal 1991, da quando m’innamorai del progressismo del Tottenham, che quell’anno vinse l’FA Cup. Avevo 9 anni e non potevo immaginare che la mia squadra del cuore avrebbe smesso di vincere dopo quella stagione… Seguo sempre coppe e campionati, e poco tempo fa ho cominciato a domandarmi dove finissero i kit delle varie squadre di Premier League al termine della singola stagione. Ogni anno solo le squadre di Premier producono circa 19 milioni di maglie per i propri tifosi, tantissime rimangono invendute. È uno spreco enorme e abbiamo pensato di riutilizzare queste maglie per creare delle borse speciali, che possono essere riciclate a loro volta. Ora dobbiamo cavalcare il momento, perché le squadre si stanno interessando a questo tema e la situazione diventa ancora più drammatica se pensiamo che questi numeri sono relativi solo alla Premier League. KIT:BAG e altri progetti similari possono essere riproposti anche per altri campionati di calcio, ma anche per realtà monumentali come NFL e NBA. Abbiamo bisogno di aiuto per raddrizzare questa tendenza, per questo motivo sto cercando di coinvolgere altri brand, oltre agli atleti e alle società sportive stesse”



Nella testimonianza di Christopher Raeburn ritorna spesso la parola ‘responsabilità’. La responsabilità del presente. La responsabilità del futuro. La responsabilità di un’industria che troppo a lungo ha sacrificato questo termine sull’altare del fatturato. Oggi il senso d’urgenza è chiaro e potente, confida il designer inglese alla fine di questa fertile chiacchierata, alternando drammatici scenari futuri a orizzonti che possono e devono divenire positivi grazie alla sensibilità e all’operato di tutti noi.
“Abbiamo un’enorme quantità di lavoro, perché sarebbe folle pensare che tutto sia già ok. Tutti possiamo fare di meglio, tutti possiamo essere educati ed educare alla circolarità. Il mondo è pieno di cimiteri di vestiti, sarà difficilissimo smaltire gli esiti di pratiche negative come l’overproduzione di capi e materiali. Ma sono fiducioso, la mia speranza è che si concretizzi un futuro al momento utopico, dove il fashion smetterà di pesare sulla Terra e addirittura arriverà ad aiutarla. Certo, non sarà un viaggio semplice”
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