Franco Arese e Maurizio Damilano, il cross è per sempre

Due leggende dell’atletica italiana spiegano l’importanza degli European Cross Country Championships torinesi
Gli European Cross Country Championships 2022 hanno riunito nell’elegante e accogliente Reggia di Venaria due volti che mai hanno smesso di vivere, incarnare e tramandare la bellezza del sacrificio atletico. Sono Franco Arese e Maurizio Damilano. Sono due professori emeriti dell’universo sportivo italiano. Sono due menti, due corpi, due anime che all’atletica hanno dedicato e continuano a dedicare le loro esistenze.


“Ho cominciato a correre così, nelle campagne cuneesi e nei campionati studenteschi”, confida Arese, prima mezzofondista di livello internazionale e campione europeo sui 1500 metri ad Helsinki ’71, poi imprenditore di successo e oggi chairman del brand Karhu, “Il cross è fondamentale soprattutto per noi mezzofondisti. Correre con il fango fino alle caviglie è qualcosa di diverso, ti insegna a superare momenti di crisi che poi puoi ritrovare in pista. Il cross fortifica la tua mente, perché qui non è tutto bello e pulito, le incognite sono infinite… Pensate per esempio al campione olimpico sui 1500 metri a Tokyo, il norvegese Jakob Ingebritsen. Ha appena vinto su questo tracciato il suo sesto oro europeo consecutivo: questa è la dimostrazione di quanto sia propedeutico questo sport e di quanto aiuti la performance in altri contesti”.


“È una grande palestra di costruzione”, prosegue Damilano, marciatore oro olimpico a Mosca ’80 e due volte campione mondiale sui 20km, ora consigliere di spicco della Federazione Italiana di Atletica Leggera, “I mezzofondisti costruiscono i propri risultati con il cross, ma questo sport serve soprattutto come avviamento per tanti bambini che incontrano l’atletica in gare scolastiche e se ne innamorano. Il cross tocca anche un punto fondamentale per la società attuale, la sostenibilità ambientale. È una disciplina che consente di correre e muoversi nella natura, di sfruttare il territorio nel migliore dei modi”. “Questo luogo è un’ex riserva di caccia e credo sia un contesto fantastico per un evento di questo genere”, gli fa eco Arese osservando lo splendore della Reggia di Venaria, “Solitamente le gare di cross si svolgono in campagna, in zone anonime in cui non è presente questo contorno architettonico e monumentale… Qui invece l’arte umana si fonde con l’ambiente e con la corsa. Ho la sensazione che questo scenario completi la competizione e la renda affascinante in primis per gli atleti, ma anche per le oltre diecimila persone che sono accorse ad ammirare le loro performance”.




Gli occhi di entrambi si illuminano davanti a giovani falcate, innescando un duplice processo d’immedesimazione e desiderio. Perché nella corsa di Ingebritsen e colleghi si riflettono interi decenni di amore viscerale per l’atletica, di allenamenti e successi, così come il desiderio comune di un presente dedicato allo sviluppo di questo nobile, eppure estremamente popolare universo sportivo. “Per me è un onore supportare questo evento”, afferma Arese, “Ed è un onore rappresentare Karhu e la sua storia strettamente connessa a tante leggende dell’atletica, come i Finlandesi Volanti o le 15 medaglie d’oro che questo brand ha vestito ad Helsinki 1952. Qualche anno fa ho deciso di rilanciare Karhu, era una questione di rispetto verso un pezzo di storia sportiva. Allo stesso tempo è fondamentale rilanciare il cross country, e questa cornice di pubblico dimostra che siamo sulla giusta strada”. “Quando partecipo a queste competizioni è come se rivivessi dei momenti della mia carriera”, conclude Damilano, “Gli atleti italiani, i loro risultati e le loro imprese mi riportano indietro nel tempo… Mi fanno pensare all’autostima e alle consapevolezze che ho acquisito raggiungendo risultati come l’oro di Mosca. Ho lasciato le piste da 30 anni, ma non ho lasciato l’atletica. Per questo evento ho assunto il ruolo di CEO del comitato di organizzazione e coordinamento, schierandomi al fianco del presidente Lucchi, e osservare questa cornice straordinaria mi conferma quanto sia sempre più necessario che l’atletica diventi una piattaforma d’inclusione di massa”.
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