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La fotografia oltre la superficie, Pellicola Magazine

Lo sport nella fotografia contemporanea. Una chiacchierata con le menti e gli occhi dietro Pellicola Mag

Pellicola Magazine è una rivista online indipendente, un affascinante progetto mosso dal desiderio di condividere, alimentare e analizzare l’universo fotografico contemporaneo.

Pellicola è un costante flusso visivo, è una raffinata galleria in cui perdersi volontariamente ed insistentemente. È un archivio di pensieri, parole e, soprattutto, immagini in grado d’ispirare.

Abbiamo contattato Simone e Greta, menti e occhi alle spalle di Pellicola. Con loro abbiamo parlato di un tema, quello sportivo, che inevitabilmente incrocia la loro ricerca. Buona lettura.

Icon Collection Juventus

Catherine Hyland

Come nasce il progetto Pellicola Mag?

Pellicola com’è conosciuto oggi nasce nel 2015, ma si tratta di un progetto ideato ancora prima in forma di gruppo e pagina Facebook, poi abbandonati per mancanza di tempo dai proprietari. Nel 2015 Simone Corrò ha preso in mano il progetto, che da quel momento è ripartito da capo cambiando veste grafica e spostandosi principalmente su Instagram, dove inizialmente i contenuti consistevano in un reposting di fotografie e immagini che ci incuriosivano e suscitavano la nostra attenzione.

Con l’apertura del sito nel 2017 abbiamo iniziato ad approfondire ulteriormente questa attenzione per le immagini attraverso un approccio più diretto con i fotografi, pubblicando contenuti più esclusivi come articoli e interviste, racconti realizzati dagli artisti stessi. A non essere mai cambiata, e anche idea di fondo del magazine, è sempre stata la volontà di dare voce ai lavori di fotografi da tutto il mondo indipendentemente dalla loro notorietà, spaziando tra personalità emergenti ed altre più conosciute per indagare e delineare in questo modo le più varie direzioni del panorama fotografico contemporaneo.

Quali sono i principi artistici e le valutazioni alla base della vostra selezione di contenuti?

Una cosa che abbiamo appreso con la nostra esperienza nel magazine è l’importanza di interrogare le fotografie oltre la loro superficie, comprendere a pieno la loro origine e il perchè della loro esistenza, soprattutto in un contesto storico in cui, grazie alla democratizzazione dei mezzi, siamo tutti simultaneamente consumatori e creatori di immagini ad un ritmo insostenibile. Diventa sempre più necessario distinguere lavori seri e approfonditi da ricerche esclusivamente estetiche, e in questo senso siamo sempre più alla ricerca di personalità mosse da una reale intenzione, i cui progetti fotografici siano il risultato di un’urgenza che sente il bisogno di essere espressa e condivisa, che apra nuovi squarci sul mondo conoscibile.

Il nostro obiettivo è quello di trasformare l’esperienza delle persone che seguono il nostro progetto in qualcosa che vada oltre l’esclusività estetica delle immagini e che rivendichi il giusto spazio del loro contenuto. Poi, ovviamente, ciò che emerge dalla nostra selezione è al tempo stesso un gusto personale, con cui i lavori vengono inevitabilmente filtrati, che come un filo conduttore implicito lega insieme tutte le pubblicazioni.

Come s’inserisce lo sport all’interno del vostro universo fotografico e come s’inserisce, a vostro avviso, all’interno dell’intero mondo della fotografia contemporanea?

Purtroppo nella ricerca di Pellicola lo sport non ha mai trovato molto spazio, abbiamo avuto davvero poche occasioni di pubblicare artisti con progetti che entrassero in relazione con questo mondo. Pensiamo che, in generale, la percezione della fotografia sportiva sia ancora oggi legata ai principali canali di comunicazione, ai canoni visivi che tuttora influenzano l’ambito giornalistico. La forza del vostro progetto sta proprio nel voler scardinare questa tendenza, nel mostrare e rivendicare nuove sfaccettature di questo genere fotografico e raccontare lo sport da un punto di vista più libero e indipendente.

Icon Collection Juventus

Catherine Hyland

‘Rise of the Mongolians’ di Catherine Hyland ci porta alla scoperta di un affascinante territorio che, nonostante le relative dimensioni, è in grado si sfornare continuamente giganti del sumo. Cosa vi ha ispirato maggiormente di questo reportage?

Sicuramente la relazione tra i soggetti e il loro ambiente è un aspetto molto forte e interessante nel lavoro di Catherine. Le fotografie avrebbero potuto essere scattate in altri contesti, come nelle palestre al chiuso o durante le competizioni ufficiali degli atleti, ma l’esclusività del paesaggio rurale del Teriji National Park diviene il principale espediente visivo per sviluppare il progetto e rispondere alla sua domanda iniziale. E’ proprio nel paesaggio che risiede la risposta, nelle conseguenti condizioni di vita dei suoi abitanti che per poter bere trasportano e sciolgono il ghiaccio dei fiumi, per scaldarsi spaccano la legna, per spostarsi percorrono chilometri a cavallo. Abitudini che divengono sinonimo di forza e resistenza. Le fotografie di Catherine mostrano questo forte contrasto tra la desolazione del territorio e la forza dei lottatori, due componenti che in fondo si rivelano essere una cosa sola, unite da un profondo legame causale, sono una la conseguenza dell’altra.

Icon Collection Juventus

Catherine Hyland

Icon Collection Juventus

Catherine Hyland

Pare evidente un filo conduttore tra l’opera di Catherine Hyland e ‘Against the Elements’ di Joseph Fox. Il calcio islandese come il sumo mongolo: comunità che si ritagliano in maniera inattesa uno spazio di rilievo nel panorama sportivo. Cosa vi ha colpito dell’opera del fotografo britannico?

Certo, in questo senso i due progetti portano avanti uno stesso discorso e approfondiscono questa curiosa relazione tra la propria identità e il grande eco ottenuto con le competizioni sportive. Ciò che colpisce particolarmente in Against the Elements è l’accostamento di uno sport come il calcio ai paesaggi islandesi, un binomio che crea un’atmosfera quasi surreale proprio perché lontana dall’immaginario condiviso che questo sport così universale ha costruito nel tempo. E’ come se il rapporto causale che caratterizza Rise of the Mongolians venisse qui rimpiazzato da una forte componente enigmatica, un senso di sospensione che si protrae nel corso della serie.

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Joseph Fox

Icon Collection Juventus

Joseph Fox

Icon Collection Juventus

Joseph Fox

Icon Collection Juventus

Joseph Fox

La pallacanestro del Goshogaoka Girls Basketball Team. Un gioco contemporaneamente ‘in assenza’, privato del pallone, e ‘in presenza’, caricato di una forte espressività e gestualità. Che valore assume, nel caso di Sharon Lockhart, il ritratto sportivo?

Come dici tu, l’assenza nel lavoro Sharon lascia spazio ad un altro tipo di presenza, quella corporea, performativa, espressiva. La scelta di non rappresentare il pallone nel corso di tutta la serie permette di approcciarsi al basket con un punto di vista che supera il gioco stesso e si concentra su tutti quegli aspetti più sottili che fanno sempre parte di questo sport, ma su cui lo sguardo si appoggia con meno frequenza. I ritratti di Sharon si avvicinano all’emotività delle giocatrici, si caricano di tensione e ci lasciano con il fiato sospeso, come quello delle atlete nell’invisibilità dell’attesa che precede ogni movimento, ogni istante decisivo. Ma si caricano anche di una sorta di sacralità; sono proprio queste attese, che immortalano i soggetti quasi come dei gruppi scultorei, a diventare una celebrazione del mondo sportivo oltre le vittorie e i grandi momenti, dell’umiltà di ogni sguardo, di ogni respiro trattenuto, di ogni muscolo teso.

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Sharon Lockhart 

Credits

Intervista di Gianmarco Pacione

Pellicola Magazine
IG @pellicolamag
pellicolamag.com

Foto di Catherine Hyland
IG @cathyland1
catherinehyland.co.uk

Foto di Joseph Fox
IG @josephfoxphoto
josephfox.co.uk

Foto di Sharon Lockhart
lockhartstudio.com

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