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Eugenio Monti, il ‘Rosso Volante’

Dal premio De Coubertin al suicidio. Vita e discese di un campione olimpico, di un fenomeno del bob, di un orgoglio italiano

Gianni Brera lo chiamava il ‘Rosso Volante’. Sfrecciava in lunghi e compatti cunicoli di ghiaccio, lo faceva per dimenticare il passato, lo faceva per fermare il futuro. Eugenio Monti è una leggenda italiana, un fuoriclasse del bob. Eugenio Monti è un uomo che ha gioito, che ha fatto gioire, prima di soffrire, prima di scivolare nei cupi meandri esistenziali.

Innsbruck, 1964. Eugenio Monti ha 36 anni, nella sua carriera ha vinto 8 titoli mondiali sfrecciando temerariamente nei circuiti sottozero, spingendo il suo bob a velocità estasianti. “Guidoslitta”, la chiamavano così i giornali dell’epoca, ancora intrisi di semantica bellica. Monti aveva iniziato a pilotarla più che ventenne, costretto ad abbandonare una promettente carriera sciistica a causa di un grave infortunio patito sul Sestriere. Nel freddo abitacolo aveva trovato il suo compagno di vita, il suo carro trionfale.

8 titoli mondiali, dunque, ma nessun oro olimpico. Strano, stranissimo per colui che all’epoca era ritenuto un mostro sacro della disciplina. Pilota, sì, ma anche meccanico e perfezionista. Monti trascorreva nottate insonni ad avvitare bulloni, a limare dettagli, a passeggiare lungo le piste. “Conosce ogni centimetro del percorso”, dicevano meravigliati i suoi compagni di squadra. Eppure l’oro olimpico era sempre sfuggito dalle mani del nativo di Dobbiaco, pareva essere una maledizione, un tabù impossibile da sfatare.

La gara ha inizio e, improvvisamente, i britannici Tony Nash e Robin Dixon, rompono un bullone. Tutto finito, strada spianata per la vittoria della coppia Azzurra e inevitabile festa nazionale per il ‘Rosso Volante’. Monti, però, non ci sta. Non vuole vincere il suo primo oro in una competizione privata dei suoi principali rivali. Così li aiuta. Regala loro un bullone delle corrette dimensioni, assiste alla messa in ordine del mezzo della Union Jack e si prepara per la discesa. A vincere sono proprio Nash e Dixon. “Non hanno vinto perché gli ho dato il bullone. Hanno vinto perché sono andati più veloci”, chiosa davanti ad un’adombrata stampa italiana.

Monti torna in Italia con la medaglia di bronzo e una medaglia al valore, quella intitolata a Pierre de Coubertin. È il primo atleta ad essere insignito di questa onorificenza, diventa icona del fairplay sportivo.

Grenoble, 1968. Eugenio Monti ha 40 anni. A fargli compagnia, in quella che tanti scherzosamente appellano “Formula 1 congelata”, è Luciano De Paolis. Il ‘Rosso Volante’ sull’Alpe d’Huez si spinge oltre i propri limiti, “Non rallentare, non rallentare”, urla al compagno d’abitacolo romano. Durante una delle 4 manche la sua mascherina si trova impolverata da un’improvvisa folata di neve. Monti prosegue alla cieca, conscio dello studio profondo di ogni curva, di ogni rettilineo.

“Capivo che l’oro ci stava scivolando dalle mani. Poi siamo scesi bene nella quarta prova, segnando 1’ 10’05, record dei Giochi, ma i tedeschi erano ancora in vantaggio ai 1000 metri. La pista ne misurava 1500. Mi sono visto perduto. Alla fine, invece, hanno segnato 1’ 10’15. Ero in cabina con Sandro Ciotti, che mi ha detto: Guarda che siete pari. Gli ho risposto: Divideremo la medaglia in due. Dopo qualche istante mi disse: Hai vinto tu. Conta la discesa più veloce”

L’Italia è d’oro. Monti è d’oro. Pochi giorni dopo aver raggiunto il paradiso sportivo, bissa il successo nella discesa a 4, aggiungendo all’equipaggio Mario Armano, contabile di Alessandria, e Roberto Zandonella, meccanico cadorino.

9 ori e 1 argento mondiali, 2 ori, 2 argenti e 2 bronzi olimpici. Il ‘Rosso Volante’ resta, ancora oggi, il bobbista più grande della storia. Una carriera strepitosa, seguita, però, da anni durrissimi e grandi dolori.

A questo atleta fenomenale, difatti, la discesa più lenta e faticosa sarà riservata dalla vita. Un percorso crudele, spesso incontrollabile e, sfortunatamente, tragico. Una separazione burrascosa, il giovane figlio incappato nel letale vortice della droga, l’incessante aggressione del morbo di Parkinson. Il 30 novembre 2003, poco dopo aver compiuto 75 anni, Eugenio Monti si spara un colpo di pistola in testa. Il ‘Rosso Volante’ aveva deciso di tagliare il suo ultimo traguardo.

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