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Ermenegildo Arena, la pallanuoto italiana

Inventore del Settebello e della ‘beduina’, la storia di un eroe delle acque Azzurre

“Noi siamo sette, sette e belli, siamo noi il Settebello”

Una battuta scherzosa, un approccio sorridente. La genesi di un termine storico, eterno, incastonato nell’immaginario sportivo del nostro Paese, non è legata a penne ispirate o a un giornalismo romantico, è figlia dell’impeto ormonale di sette giovani ragazzi di ritorno da una trasferta.

Sono pallanuotisti, sono membri della squadra partenopea, la Rari Nantes Napoli, degli ultimi anni ’40. In Liguria vedono salire sul treno 4 giovani turiste tedesche, iniziano a giocare a carte con loro e, nel vortice di occhiatine scambiate e grasse risate compiaciute, Ermenegildo Arena, punta di diamante di quella compagine, intona la frase che avrebbe segnato per sempre la pallanuoto italiana.

Carte e donne. Il Settebello rapidamente transiterà dall’azzurro napoletano a quello della Nazionale. Lo farà a Londra, nel 1948, appena prima della finale olimpica, quando lo stesso Arena chiederà al poeta del microfono Nicolò Carosio di chiamare in quel modo la propria squadra.

Andrà tutto per il verso giusto, con una medaglia d’oro al collo e un soprannome che impatterà sulla cultura popolare, entrando indelebilmente nel gergo comune.

Arena di quel primo Settebello era anima, cuore e talento.

Un atleta invidiato da tutte le altre rappresentative mondiali, un fantasista delle acque, un napoletano verace.

Nato proprio nel capoluogo campano nel 1921, l’adolescente Arena è un nuotatore eccellente, capace di vincere svariati titoli nazionali lungo tutti gli anni ’40 nei 100 e 200 m stile libero.

In acqua è veloce, velocissimo. E proprio il suo fendere così rapidamente le onde lo porta a forgiare uno stile di gioco unico nella pallanuoto.

Con la Rari Nantes Napoli, nel leggendario porticciolo di Morosiglio, vince 5 titoli (1939, 1941, 1942, 1949 e 1950).

È un goleador estetico, un risolutore geniale.

In vasca conduce contropiedi irraggiungibili, il ritmo delle sue bracciate non viene mai modificato dalla presenza del pallone.

Con la sfera in mano è un giocoliere, non a caso ancora oggi viene ricordato come il ‘Maradona della pallanuoto’: soprannome postumo, dato dai tanti tifosi che per anni hanno assistito a personali esibizioni di tecnica e magia acquatica.

Arena ha mani enormi, tanto da far sembrare il pallone di misura inferiore.

Inventa la ‘beduina’, un gesto meccanicamente improbabile, assolutamente innovativo per la pallanuoto di metà Novecento.

Un tiro spalle alla porta, ancora oggi difficile da contrastare, che prevede la fiondata del braccio dal basso verso l’alto.

“In verità non inventai del tutto quel movimento, qualcuno lo eseguiva con il braccio in posizione orizzontale, io invece provai a farla dal basso verso l’alto con le spalle alla porta: ne nacque un tiro imprevedibile e spettacolare”. Un lampo di genio, un lampo realizzativo.

Nell’oro olimpico londinese, Arena raggiunge il punto più alto della sua carriera: il proprio paradiso sportivo, umano, emozionale.

Un risultato inebriato dagli applausi di un popolo, quello inglese, ampiamente ostile al tricolore italiano dopo il disastro bellico. “Sul podio non riuscivo a trattenere le lacrime per la commozione. Non avevamo solo vinto le Olimpiadi, ma eravamo investiti dagli applausi degli odiati inglesi con la nostra bandiera che dominava Londra. Che orgoglio”.

Arena è anche il primo professionista del waterpolo nostrano: primato che consegue nel 1950 quando, per la cifra record di 500mila lire e l’aggiunta di un’autovettura ‘Topolino’, passa dal Rari Nantes Napoli ai rivali cittadini della Canottieri, con cui conquisterà il titolo italiano l’anno seguente.

La sua vita dopo gli scontri e le reti in acqua non sarà delle più felici. Un divorzio burrascoso, la serpe latente della ludopatia, le poche luci e le tante ombre nella carriera da allenatore, le ingenti difficoltà economiche, l’alzhaimer.

Nel febbraio 2005 Ermenegildo Arena muore a pochi giorni dal suo 84esimo compleanno.

Da meno di una settimana gli era stato confermato il vitalizio statale per meriti sportivi: aiuto richiesto insistentemente da familiari, amici e affezionati.

Quelle stesse persone che avrebbero descritto così le ultime disperate bracciate di Arena: “Dopo lo sfratto si era trasferito a Castelvolturno. L’importante comunque era che Gildo vedesse il mare, l’acqua: la sua vita”.

Gianmarco Pacione

Sources & Credits

 

 

Photos sources:
https://www.sslazio.org/gildo-arena-il-re-della-beduina-campione-olimpico/https://www.tag24.it/205488-arena/http://www.sslazionuoto.it/index.php/it/pallanuoto/14-foto/733-ea

25 febbraio 2021

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