Ranista dei record, grande speranza olimpica tricolore. Il ventunenne che sfrutta primati e medaglie per maturare come essere umano
“Conosco ogni angolo del mio mondo natatorio, vorrei cominciare a conoscere tantissimo anche al di fuori di esso. Mi auguro di esplorare sempre più tutto ciò che mi circonda, tutto ciò che c’è oltre la vasca, oltre questa meravigliosa bolla in cui mi trovo”
Di Nicolò Martinenghi stupiscono la maturità, le capacità e qualità riflessive, la volontà di contestualizzarsi in un panorama più ampio rispetto a quello acquatico, rispetto all’etereo mondo dell’agonismo natatorio.

In fondo questo interprete prodigioso della rana non ne avrebbe bisogno, potrebbe limitarsi a limare secondi e imperfezioni, a focalizzare il suo pensiero sui cinque cerchi, a godere di uno status impreziosito dal doppio record nazionale stabilito a Riccione poche settimane fa, coprendo in 26”39 i 50 metri e in 58”37 i 100.
Potrebbe, per l’appunto. Eppure il classe ’99 pare essere atipico per indole, per natura: un’atipicità riassunta dall’inconsueto stile scelto per competere ai massimi livelli internazionali, scelto per divorare metri fendendo correnti, fatica e cronometri.
“Ironicamente dico che non sono io ad aver scelto la rana: è la rana ad aver scelto me. Credo che questa sia la specialità più folle del nuoto, è molto tecnica, è estremamente atipica, non prevede una nuotata perfetta in senso assoluto: ognuno deve adattarsi secondo le proprie caratteristiche…”

Nicolò quelle caratteristiche le ha scoperte in tenera età, affrontando e superando un’iniziale repulsione per l’elemento che, con lo scorrere delle stagioni, avrebbe iniziato ad ospitarlo quotidianamente, monopolizzandone la vita. Preferiva giocare a pallacanestro, l’espansivo classe ’99, preferiva seguire le orme paterne nel florido territorio cestistico varesino. Poi l’epifania della linea nera, la volontà d’incidere totalmente sul risultato, di affrontare in prima persona, come unico attore protagonista, glorie e delusioni.
“Da piccolino odiavo l’idea di entrare in acqua, amavo stare sui parquet, ero spinto dal desiderio di emulare mio padre Samuele e i suoi trascorsi da guardia nella Ignis Varese. Ad un certo punto quell’odio è svanito e sono presto arrivato ad un punto di non ritorno: non potevo continuare ad intrecciare entrambi gli sport. Per scegliere mi sono basato sui risultati oggettivi e sul fatto che, in vasca, glorie e delusioni le potevo avere tutte per me stesso: nella corsia tutto sarebbe dipeso da me”
Dopo questa presa di coscienza, il climax sportivo di Nicolò inizia ad essere vertiginosamente ascendente, inizia a regalare risultati superlativi, a veder caricare le sue bracciate di aspettative e attenzioni mediatiche: ombre emotive frenate da un maturo e saldo contatto con la realtà.
“Ho sempre cercato di restare fedele al Nicolò quattordicenne, al ragazzo che non vuole semplicemente andare forte in acqua, ma che vuole restare a contatto con il mondo esterno, con gli amici di sempre. Ripeto, so di essere stato risucchiato da tempo dentro questa bolla magica: nella mia carriera agonistica tutto è e sarà perfetto al di là dei risultati, tutto è e sarà teso al distacco dalla realtà: rendersene conto e provare a restare connessi ad essa credo sia fondamentale. In questo critico percorso adolescenziale mi ha sicuramente aiutato l’allenarmi vicino a casa e il poter fare affidamento dai 12 anni in poi su un unico allenatore”

Il rapporto con Marco Pedoja, difatti, esula dal classico legame coach-atleta. È un sorta di rapporto fraterno, quello dei due, coltivato con costanza da circa un decennio: un rapporto colorato da un accrescimento reciproco vissuto a pelo d’acqua. Al fianco di questa figura Nicolò ha visto aggiungersi altri tipi di aiuto, come quello essenziale di uno specialista della mente, di un esperto in grado di far incidere il fattore psico-emotivo sul gesto muscolare.
“Marco mi ha visto crescere, credo sia una carta vincente il fatto di aver condiviso e condividere tantissimo tempo con una persona che mi conosce così a fondo. Quando ha iniziato a seguirmi aveva poco più di vent’anni e lo vedevo come un fratello maggiore, poi il nostro rapporto si è ulteriormente evoluto. Un’altra carta vincente è la presenza di un mental coach, Lorenzo Marconi: a questi livelli lotti contro i minimi dettagli e psicologicamente non è facile. Sono arrivato ad un punto della maturazione agonistica dove, se voglio migliorare, devo concentrarmi su miliardi di cose, miliardi di vere e proprie piccolezze. Devo stare molto attento a quello che penso, perché ogni parola e ogni riflessione possono tramutarsi in grandi problemi: la serenità mentale è l’unica chiave per raggiungere grandi risultati”

Serenità mentale e grandi risultati, un’equazione che Nicolò ha risolto alla perfezione nelle acque di Riccione, da cui è uscito con un doppio record italiano nel palmarés e con un inequivocabile segnale lanciato ad Adam Peaty e colleghi in vista delle Olimpiadi illuminate dal Sol Levante.
“Volevo andare forte, non lo nego, ma migliorarmi in quel modo è stato stupendo, sono uscito dall’acqua quasi allibito… È bello essere consapevoli di quello che si può fare, ma è ancora più bello superarsi. Questi tempi non mi danno maggiore benzina, semplicemente aumentano la serenità in vista di Tokyo. Mi aiuta vivere il nuoto in questo modo, con una leggerezza che mai si tramuta in mancanza di serietà, con la consapevolezza di essere fortunato nel lavorare divertendomi…”


Non è un peso, per Nicolò, entrare in vasca ogni mattina, non sono un peso le interminabili ore scandite da respirazioni e virate. Nelle parole di quest’eccellenza Azzurra allenamenti e conseguenti medaglie sembrano più che altro mezzi: mezzi di scoperta, mezzi di formazione.
“Il nuoto mi permette di viaggiare per il mondo, di conoscere posti, culture, di ampliare la mente. Toccando così tanti contesti differenti mi arricchisco, analizzo e capisco cose che anche solo il giorno prima mi sembravano assurde o sbagliate. Se in un futuro dovessi avere un figlio, non vorrei parlargli semplicemente di etica lavorativa e di sacrifici sportivi, vorrei dimostrargli di avere una visione molto più ampia”
Sono concetti penetranti, quelli sviscerati dal ranista tricolore. Concetti intimi, preziosi come i gioielli trattati sapientemente da suo padre nello studio orafo di famiglia. E il nuoto di Nicolò, in fondo, sembra ricalcare l’attività paterna, sembra trovare fondamento nella medesima passione e cura del dettaglio.

Un’associazione implicita, un’associazione doverosa, messa in risalto dal trasporto con cui l’atleta varesino ci parla di quest’antica arte tramandata di parola in parola, di artigiano in artigiano, di Martinenghi in Martinenghi.
“Un mestiere del genere non lo impari studiando, lo impari facendo, è molto manuale e nozionistico. Se chiudo gli occhi e penso a un mio futuro non mi dispiacerebbe trovarmi al posto di papà. È sicuramente stimolante l’idea di poter tramandare questa tradizione familiare: non lo nego, sono pensieri che di tanto in tanto mi attraversano. Pur rimanendo consapevole della mia età, voglio comunque pensare a dei piani, a degli interessi, a delle certezze su cui fare affidamento quando il mio fisico arriverà al limite. Ma manca ancora molto tempo prima che arrivi questo momento, posso stare tranquillo…”








Sì, a mancare è ancora moltissimo tempo e Nicolò ce lo lascia intendere sorridendo. All’appena ventunenne mancano innumerevoli medaglie da indossare e record da conseguire, luoghi da visitare e piscine da dominare. Mancano, soprattutto, monumentali obiettivi da centrare.
Per il momento questo lombardo dalle stupefacenti bracciate può rimandare l’appuntamento con diamanti e gioielli: può focalizzarsi sul più prezioso dei metalli, questo sì, provando ad incidere l’oro con i cinque cerchi, con l’eterno simbolo d’Olimpismo e leggenda sportiva.
Credits
Ph RISE UP
IG @riseupduo
riseupstudio.com
Arena Italia
@arenaitalia
Arena Water Instinct
@arenawaterinstinct
Dao
@dao_sport
Nicolò Martinenghi
IG @nicolomartinenghi
Text Gianmarco Pacione