Studio, sacrifici, convinzioni. Intervista al pilota della Sky VR46 Avintia
“Ho pochi ricordi della mia infanzia, ma ho un momento preciso cristallizzato nella memoria. È una delle mie prime volte sulle minimoto, sulla pista del Motor Park di Cattolica, vicino casa mia. Volevo provare quell’esperienza, lo volevo tantissimo, perché quando passavo lì vicino con la macchina vedevo sempre qualcuno che girava. Allora ho chiesto insistentemente ai miei genitori e mi sono ritrovato sulle due ruote, con l’aiuto delle rotelline. Andavo piano piano, con una persona che mi teneva dietro, forse era mio padre: il gas aveva il fermo, non potevi dargliene di più…”
Luca Marini ha una nobiltà innata, visibile, gestuale. Occhi azzurri ed eloquio forbito, gambe lunghe, affusolate, distanti anni luce dallo stereotipo morfologico degli equilibristi delle due ruote. All’ombra del paddock WithU si sistema il lungo ciuffo biondo con movimenti lenti, misurati, antitetici rispetto alle velocità raggiunte con la sua Ducati in questa prima stagione di classe regina.


Luca Marini ha, soprattutto, un pensiero fisso: migliorarsi, diventare la migliore versione di sé stesso. Un processo iniziato tempo addietro, quando il classe ’97 dovette prendere una decisione definitiva, abbandonando l’altra sua grande passione, il pallone, per dedicarsi anima e corpo ai motori.
“Ho vissuto sempre un dualismo tra calcio e moto. Il pallone mi piaceva tanto e giocavo nella squadra del mio paese. Ero anche bravo… Sapevo benissimo, però, che con il calcio non avrei avuto l’opportunità di sfondare ad alti livelli. Con le moto, invece, sentivo di aver intrapreso il percorso corretto per poter puntare in alto. Così a 14 anni ho iniziato ad allenarmi in maniera più specifica, a considerare la moto come un lavoro, e questo mi ha portato ad abbandonare il calcio”
Step dopo step, marcia dopo marcia, piega dopo piega. Fondamentale nella parabola motociclistica di Luca Marini è stato il passaggio dalla VR46 Academy, da quel magico ranch-incubatrice popolato da giovani talenti affamati di conoscenza tecnica e velocità.
“L’Academy è una bellissima realtà, un contesto unico, in cui sono state brave le persone che ci hanno lavorato, a partire da mio fratello Valentino. All’inizio c’erano tante idee, tanti sogni, ma poi bisogna riuscire a concretizzare tutto, e non è facile. Abbiamo avuto la possibilità di crescere tutti insieme, per noi piloti era una continua sfida, ogni giorno subentravano delle dinamiche che portavano inevitabilmente ad un’evoluzione personale: dovevi girare più veloce dell’altro, sollevare più pesi dell’altro… Mi emoziona riflettere sul fatto che l’Academy ha fatto crescere noi piloti, è vero, ma anche noi piloti abbiamo permesso all’Academy di crescere”



Una crescita reciproca, dunque, che nel caso di Luca si è concretizzata con una rapida transizione in Moto3, una lunga parentesi in Moto2, culminata nel secondo posto in classifica generale della passata stagione, e con l’approdo nel paradiso della MotoGP di pochi mesi fa.
È stato un ingresso complesso quello nell’asfaltato salone delle feste, Luca non lo nega, ne parla con estrema lucidità, con la consapevolezza di trovarsi in un gotha popolato da mostri sacri, superuomini e, come dice lui stesso, ‘animali da pista’.
“All’approdo in MotoGP ho subito notato che tutto quello che avevo fatto negli anni precedenti non era abbastanza. Dovevo fare un altro scatto in avanti, molti scatti in avanti, come pilota e come persona: era ed è l’unica via per raggiungere il mio massimo livello, la mia versione migliore. Per esempio ci sono tanti aspetti del mio carattere che non mi piacciono e che finiscono per intaccare le mie prestazioni sportive, sto cercando di cambiare in meglio anche sotto questo punto di vista e di ammorbidire la mia introversione. Limare e curare ogni dettaglio è l’unico modo per riuscire a competere con quelli che ritengo a tutti gli effetti ‘animali da pista’. Prima li guardavo in tv, da questa stagione li vedo di fianco, davanti, dietro, provo a capire come riescano a portare la moto al limite: studio le traiettorie, le posizioni in curva, le tipologie di frenate… Provo a fare miei i loro punti di forza, in modo da diventare più forte di loro”



Inondato dalle immagini dei suoi ultimi Gran Premi, Luca ruota a lungo attorno ad un concetto specifico, quello di DNA motociclistico, di DNA del singolo pilota: nozione che mai come quest’anno ha avuto modo di teorizzare approfonditamente, nozione che mai come nel suo caso ha rimandi pratici, oltre che teorici, alla luce del ben noto legame genetico con Valentino Rossi.
Un DNA polisemico che, se coltivato nel giusto modo, nel prossimo futuro potrebbe portare Marini alla definitiva esplosione e ad una stabile presenza ai vertici della MotoGP.
“Mi sono reso conto che il DNA di un pilota MotoGP non varia negli anni, quello è e quello rimane. I ragazzi che correvano con me in Moto3 e Moto2 e che oggi ritrovo qui si sono evoluti sotto molti punti di vista, ma sono rimasti fedeli allo stile di sempre, alla loro essenza. Anch’io provo ad esserlo. Adesso dovrò fare esperienza e fare ogni passo richiesto dalla categoria. Poi, quando avrò un pacchetto tecnico che mi permetterà di esprimermi al meglio, dovrò farmi trovare pronto e dimostrare con i risultati. Sono convinto di poter arrivare molto in alto anche qui”

Luca Marini
IG @luca_marini_97
Intervista di Gianmarco Pacione
Photo credits:Rise Up Duo, Riccardo Romani