Dalle Alpi piemontesi alla Moto2. Intervista al talento dello SKY Racing Team VR46
“Il ricordo più bello della mia infanzia è legato ad una moto a tre ruote. L’aveva costruita mio padre per mio fratello maggiore, utilizzando il motore di un decespugliatore. Osservavo mio fratello girare in cortile, poi un giorno ho chiesto di provare: una volta salito sopra mi sono irrimediabilmente innamorato dei motori. Sceso da quella prima prova ho subito chiesto a mio papà di comprarmi una moto a due ruote. “Per avere una bici senza rotelle devi prima imparare ad andare con le rotelle”, è stata la sua risposta. Così mi sono messo lì e a otto anni mi sono ritrovato a correre il primo campionato italiano…”
Celestino Vietti è leggerezza, una leggerezza giovanile, una leggerezza matura, una leggerezza veloce, sfrontata al punto giusto. Non ancora ventenne sta approcciando la sua prima stagione in Moto2, vestendo la tuta SKY Racing Team VR 46 al fianco di Marco Bezzecchi.

Una tuta che ‘Celin’ dipinge con i colori della sua regione, il Piemonte. Proprio a Coassolo Torinese, minuscolo nucleo abitativo incastonato nelle Valli di Lanzo, le due ruote hanno iniziato a segnare indelebilmente la sua vita. Un luogo atipico, le Alpi Graie, per dare i natali ad un pilota di livello mondiale. Un luogo che diventa tipico appena si spalancano le porte di casa della famiglia Vietti.
“Mio zio e mio papà sono sempre stati dei grandissimi appassionati. Mio padre ha anche fatto qualche gara in salita quando era giovane. Ho vissuto tutta l’infanzia all’interno di un ambiente motoristico. I miei parenti avevano ed hanno tuttora un’officina di macchine agricole che è rapidamente diventata la tappa fissa delle mie estati. Lì smontavo motoseghe e tutto quello che trovavo. Ora mi rendo conto che i momenti spesi in officina mi hanno regalato un feeling maggiore con il motore, con la meccanica. Mio padre, poi, mi ha trasmesso moltissimi strumenti per leggere e comprendere i problemi della moto: grazie a lui il mio legame con il mezzo è passato a un livello superiore. È come se mi sentissi più unito a ciò che ho sotto, ascolto ogni singolo rumore, so come decifrarlo e gestirlo…”



Una gestione che per questa giovane promessa delle due ruote non si è limitata e non si limita al lato tecnico, esondando in quello caratteriale, umano. Seduto all’ombra del paddock WITHU, di Celestino colpisce subito la lucidità dell’autoanalisi, la semplicità nel comunicare, nel riassumere i vari scalini saliti in una vita così giovane, eppure già così piena.
“Per inseguire il mio sogno mi sono dovuto spostare da casa nel periodo adolescenziale. I primi tempi sono volati, tutto era nuovo, esperienze nuove, conoscenze nuove. Una volta stabilizzato inizi a pensare che quando rientri dagli allenamenti non c’è nessuno ad aspettarti. Parenti, amici, tutti sono distanti, tutto diventa difficile. Sono dovuto crescere a livello personale e, di conseguenza, come pilota. Situazioni del genere insegnano a gestirti di più a livello emotivo: in alcuni casi tendo ad arrabbiarmi facilmente, stare così tanto da solo aiuta a ragionare, a stare lucido”
La crescita di Vietti è passata soprattutto dall’Academy per definizione del mondo motociclistico, quel paradiso delle due ruote creato dal ‘Dottore’ dell’asfalto. Un ristretto cenacolo riservato solo a chi del gas è destinato a fare una forma d’arte. Discepoli, allievi, riders in attesa di veder esplodere il proprio, sconfinato, talento.
“Entrare nella VR46 Racing Academy è stato un punto di svolta. È importante rendersi conto della fortuna, del privilegio che si ha nel potersi allenare tutti i giorni con i migliori piloti del Motomondiale. Ogni volta che scendi in pista è una sfida enorme, c’è sempre qualcuno che va più forte di te. Cerco di guardare tutti, siamo tanti, siamo ‘colorati’, ognuno ha una determinata caratteristica da cui prendere spunto: al mio fianco ho due campioni del mondo e poi Vale, il mio idolo, penso non ci sia altro da aggiungere…”


Si sposta leggermente i capelli, Celestino, quando tocca argomenti a cui è particolarmente sensibile. Sorride, un sorriso sinceramente emozionato, quando gli viene chiesto cosa significhi per lui, per il suo essere, la moto. Una domanda che tocca corde ben più alte di quelle sportive.
“Quando vai veramente forte sei un corpo unico, trovi un’armonia magica. Quello che vuole fare lei lo fai anche tu, si diventa una cosa sola. Invece quando lei vuole fare una determinata cosa e tu ne vuoi fare un’altra, fai fatica. Fatica vera. Percepisci la separazione dei due corpi. Per me la moto ha una sorta di vita propria: è un qualcosa di difficile da spiegare”




Difficile da spiegare, evocativo da sentire. C’è della profondità nelle parole di questo poco più che teenager pilota del Team Sky. Su di lui ci sono anche speranze e aspettative di tanti appassionati italiani, ammaliati dalle gesta in Moto3 della stagione 2020 e dai due primi posti ottenuti nel GP di Stiria e di Francia.
Celestino è lucido anche nell’analizzare il grande salto in Moto2, un salto naturale, eppure inizialmente complesso. Serviva un periodo d’assestamento, al pilota piemontese, una fase d’adattamento che ora pare completata, processata. A dimostrarlo una sempre maggiore confidenza con piazzamenti e continuità di prestazione, una sempre più esponenziale presenza mentale e sensoriale.
“L’impatto con la Moto2 è stato difficile. È una categoria molto particolare, a differenza della Moto3 premia la costanza, la precisione, la moto non vuole essere aggredita, non puoi permetterti di fare un giro ‘matto’ e sentirti appagato. Devi curare il ritmo, ci vuole un’attenzione chirurgica. Ora il mio obiettivo è quello di arrivare più avanti possibile in campionato, proseguire con le buone sensazioni delle ultime gare e creare sempre più unione con la moto. Il futuro? Il sogno di tutti è diventare campioni del mondo, inutile girarci intorno, lavorerò duro ogni giorno per poterci riuscire”
