È colpa nostra, Alex

Se ci fossimo sbagliati tutti, chi chiederà scusa a Schwazer?
Dopato. Una parola, una lapide sulla coscienza e sulla vita di un atleta, di un uomo. Dopato. Ovunque tu vada, senza alcuno sconto, senza alcuna riserva.
Aveva sparato tutti i colpi la contraerea moralista in quell’estate 2016, aveva annichilito quel fragile marciatore. Un ragazzo inerme, sballottato in una tempesta d’insulti, derisioni, sadici approfondimenti mediatici.
Si stava riprendendo la sua vita, Alex. Aveva già sbagliato, aveva già pagato, era già sceso all’inferno e ne era uscito in silenzio, facendosi da parte per qualche tempo, lavorando umilmente e affidandosi ad uno staff cristallino: professionisti del calibro di Sandro Donati, da sempre paladino della lotta al doping.
Aveva provato a riabilitare la sua immagine, a tornare a sorridere davanti ai volti straniti di chi, ormai, aveva già stabilito cosa dovesse rappresentare quel magro bolzanino. Un reietto, un diseredato. Un ragazzo che era stato ghettizzato istantaneamente da un mondo che, da sempre, vanta ampissime zone d’ombra inesplorate.
Quella del 2016 era stata un’estate di fuoco: “Eccolo, di nuovo, ci è ricaduto il dopato. Lo sapevo. Bisogna squalificarlo a vita…”. Tuonavano così, all’unisono, le piazze dello Stivale. Poi l’oblio. L’estrema unzione d’altronde era già stata impartita da una nazione intera che, appena otto anni prima, si levava il cappello di fronte ad un oro olimpico.
Diciamoci la verità, in fondo ci è piaciuto pensare che un superuomo fosse tale solo grazie a vietate pozioni magiche. Il secondo crollo poi aveva il gradevole sapore del disastro annunciato: lo sapevamo che sarebbe andata così. Quindi buona fine carriera Alex, buona fine vita.

Se invece fosse stato tutto sbagliato? Se i fiumi di parole, d’ingiurie spesi contro Alex Schwazer fossero stati, in realtà, attacchi gratuiti e brutali privi di fondamento? Era stato facile, in fondo, sotterrarlo ad occhi chiusi, facendosi trascinare e cullare dalla corrente dell’odio pubblico. Era stato facile, sì, dimenticarsi altrettanto velocemente di quel ragazzo altoatesino che gridava ad alta voce, in lacrime, la sua innocenza.
Oggi, dopo 3 anni di lotte sotterranee, si parla di manomissione di provette e viene messo in dubbio l’operato della Wada. E allora ben tornato Alex, forse ci siamo sbagliati tutti, forse ci siamo fatti prendere la mano, forse abbiamo dato tutto per scontato…
Eh no. Non funziona così. O almeno, non dovrebbe funzionare così. Perché non possiamo sapere cosa sia passato nella testa di Alex in questi anni, non siamo stati al suo fianco nel buio salotto di casa con gli occhi fissi nel vuoto, non abbiamo provato la sensazione di essere spettri alla luce del giorno, non abbiamo buttato via anni di impegno mentale e fisico per risalire la china, con il solo esito di ritrovarci spalle al muro, fucilati a bruciapelo.
“Io ho la coscienza a posto altrimenti non sarei qui dopo tre anni. La mia vita va avanti a prescindere da questo processo, non sono qui per cambiare la mia vita, sono qui per dimostrare la mia innocenza”, dice Schwazer ai microfoni che oggi, dopo molto tempo, gli ricompaiono davanti. La vita prosegue e non cambierà, certo. Ma solo perché negli ultimi anni è già cambiata troppo negativamente. E questa, in fondo, è anche colpa nostra.
Gianmarco Pacione
13 settembre 2019
Sources & Credits
Photos sources: https://www.panorama.it/sport/altri-sport/schwazer-doping-tas-olimpiadi-donati-abbandonato/
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