Duke Kahanamoku, il padre del surf

”Ku mai! Ku mai! Ka nalu nui mai Kahiki mai”, “Crescete! Crescete! Voi grandi onde di Kahiki”.
Nell’arcipelago hawaiano le onde vengono cavalcate da secoli. Prima del vorticoso turismo e dei grandi interpreti contemporanei delle tavole, abbracciare l’oceano per gl’indigeni di origine polinesiana era un rito di passaggio, un patto silente con la propria natura interiore ed esteriore.
Un uomo in particolare riuscì ad addomesticare le acque hawaiane meglio dei suoi antenati e dei suoi successori. Il suo nome era Duke Kahanamoku, fu colui che regalò il surf al mondo.

Nacque a Honolulu il 24 agosto 1890 da una famiglia di alto rango. Suo padre era a capo della polizia locale, sua madre gestiva quotidianamente 9 figli, allargando spesso le attenzioni ai 31 nipoti.
Erano tempi diversi, le Hawaii erano ben distanti dall’essere il polo attrattivo del giorno d’oggi: solo in pochi si avventuravano nell’arcipelago vulcanico, lo facevano per ricercare l’onnipotenza naturale, il sublime burkiano.
Spesso si trattava di rinomati scrittori, come nel caso di Alexander Hume Ford e Jack London. Nei loro appunti comparivano riferimenti a uomini temerari, capaci di camminare sulle acque: non erano i primi a meravigliarsi davanti a quegli acrobati dei moti ondosi.

Capostipite della descrizione della pratica del surf fu il capitano James Cook, scopritore del paradiso hawaiano nel lontano 1778.
Tra i suoi appunti comparivano fermi immagine di un popolo acquatico che guardava l’oceano con rispetto e felicità, che si faceva accompagnare dalle onde a bordo di lunghe, lunghissime assi di legno, per il puro piacere personale.
A due secoli di distanza dalle scoperte di James Cook, Duke Kahanamoku incarnava l’essenza di tutte le conoscenze pregresse, di tutta la tradizione orale e pratica dell’arcipelago. Era il ‘Big Kahuna’, il grande maestro, il surfista provetto.
Sulla tavola il suo corpo appariva immobile, statuario, aggraziato. Un prodigio visivo.

Il rapporto di Kahanamoku con l’acqua non si limitava, però, al surf.
Duke, chiamato così in onore del Duca di Edimburgo, giunto in visita sul suolo hawaiano poco tempo prima della sua nascita, sapeva difatti nuotare e già in giovane età lo sapeva fare meglio di tutti gli altri: meglio dei suoi amici, meglio del suo popolo, meglio dell’intero mondo.
Nel 1911, in un meeting presso la baia del porto di Honolulu, chiuse le 100 yard in 55’’4, ritoccando il record mondiale di 4 secondi e 6 decimi. Nella stessa occasione polverizzò anche il record sulle 220 yard ed eguagliò quello delle 50.
L’Amateur Athletic Union americana non riconobbe nell’immediato i risultati del ‘Big Kahuna’: sembrò impossibile un exploit di quel genere, sembrò quasi un insolito miraggio. Eppure, solo a distanza di un anno, Duke rappresentò gli Stati Uniti alle Olimpiadi di Los Angeles.
Con i suoi lineamenti esotici e affascinanti, con le sue bracciate dal profumo di salsedine, consegnò al popolo americano una medaglia d’oro nei 100 stile libero e un argento nella 4×200.

Dopo la parentesi bellica tornò in vasca, ad Anversa, in occasione dei Giochi Olimpici del 1920. In Belgio il ‘Duca’ delle acque si migliorò ancora, ottenendo due ori.
Il nuoto cominciò istantaneamente ad avere una duplice funzione, divenendo veicolo per mostrare al mondo la pratica del surf. I successi olimpici accrebbero a dismisura la popolarità di Kahanamoku e la fama stessa lo portò a reinventarsi, a divenire un globetrotter ante litteram, iniziando una serie di migrazioni retribuite tra States e Australia.
Kahanamoku era un atleta carismatico, con un sorriso altamente cinematografico, con una catalizzante attitudine da showman. La gente iniziò così ad assiepare le coste australiane e statunitensi per vederlo nuotare e, soprattutto, per ammirarlo cavalcare le onde.

Sbarcò in questo modo il surf sulle coste mainstream: un segreto consegnato a orde di meravigliati spettatori, intimiditi e allo stesso tempo rapiti da quell’equilibrista degli oceani e dalla sua tavola volante.
“Fuori dall’acqua io sono niente” diceva Duke ai giornalisti del tempo, e ancora, “Non ho mai visto la neve e non so cosa significhi la parola inverno”.
A Parigi, nel 1924, abbandonò momentaneamente le onde per ritrovare la vasca. Chiuse poche bracciate dietro l’immortale Johnny Weissmuller, agguantando l’ennesimo argento a cinque cerchi.
Un destino comune, il loro, iniziato come brillanti nuotatori e concluso davanti alle telecamere.
Se Weissmuller incarnò i panni di Tarzan, Kahanamoku già a partire dal 1924 firmò un contratto con la Paramount Pictures che lo portò a recitare in più di 20 film.
Poliedrico nello sport, in cui arrivò addirittura ad essere convocato nella nazionale di pallanuoto per le Olimpiadi del 1932, e poliedrico nella carriera attoriale, dove interpretò i ruoli più disparati, forte dei suoi lineamenti unici e del suo fisico statuario: sul grande schermo Kahanamoku fu arabo e indiano, fu buono e cattivo, fu comico e solenne.

La sua fama esplose definitivamente nel 1925, quando salvò temerariamente 8 naufraghi al largo di Newport Beach, in California, usando solo la sua tavola. Un evento che lo consegnò alle prime pagine di tutti i quotidiani a stelle e strisce e che lo rese eroe nazionale.
Il suo nome continuò a lungo a richiamare fiumi di persone nelle sale cinematografiche, eppure Kahanamoku non abbandonò mai la sua terra natia per i fasti californiani.
Decise di seguire le orme del padre e di diventare sceriffo nella sua Honolulu. Lo fece dal 1932 al 1961, alternando il lavoro quotidiano alle fughe hollywoodiane.


Duke Paoa Kahinu Mokoe Hulikohola Kahanamoku morì il 22 gennaio 1968, a 77 anni.
Le sue ceneri vennero posate dolcemente sulle acque dell’Oceano Pacifico, le stesse acque che accompagnarono tutta la sua esistenza. Non poteva finire in altro modo il cerchio vitale del ‘Big Kahuna’.
Un allegorico addio dal sapore di sale, accompagnato dalle sue delicate parole: “Prenditi il tuo tempo, le onde arrivano. Fai andare via gli altri, tu puoi cavalcarne ancora una”.
17 agosto 2020
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