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Il mistero di Dora Ratjen: l’uomo che si finse donna per un oro olimpico

Berlino ’36, salto in alto femminile: un ragazzo fa sognare la Germania. La sua vita resta, ancora oggi, un enigma irrisolvibile

“Favorisca i documenti prego”

Parole lapidarie, ispide. Parole che accompagnano uno dei più assurdi misteri della storia sportiva e olimpica: quello di Dora Ratjen che nacque Heinrich, quello di una campionessa di salto in alto che nacque uomo e finse a lungo, troppo, di non esserlo.

“È un maschio. Anzi, forse è una femmina”

La confusione in casa Ratjen è tanta il 20 novembre 1918. In una famiglia spiritualmente arcaica, votata a tradizioni passatiste, quell’infante dal sesso non ben identificabile risulta un oggetto misterioso, un tabù. Anche i medici sono in stato confusionale, il bimbo è un caso strano, nei primi giorni, mesi di vita non riescono a venire a capo di un enigma irrisolvibile.

Heinrich o Dora, Dora o Heinrich. Trascurare il neoarrivato è la naturale reazione di genitori in confusione, privi degli strumenti culturali necessari per analizzare razionalmente una situazione delicatissima.

Il giovane non riesce per un lungo periodo ad instaurare un rapporto stabile con il proprio corpo, nella Brema degli anni ’20 i suoi capelli dorati e il suo sorriso insicuro vengono costantemente scherniti, guardati con sospetto.

È un ermafrodito, è un reietto, è a disagio. Nei panni di Dora si maschera, vive un lato che inizialmente forse sente suo, forse no. Un travestimento a tinte rosa obbligato da genitori spazientiti, decisi ad imporgli una vita in gonna e tacchi.

“Papà, mamma, io sono un ragazzo, non sono una ragazza”

Dora supera a fatica una fase adolescenziale burrascosa. Il suo corpo parla ad alta voce, la peluria è evidente, la massa muscolare è inequivocabile. In casa ci si volta altrove, si snobba una psiche in fase di autodistruzione. La decisione è già stata presa, impossibile tornare sui propri passi: a giustificarla e timbrarla indelebilmente sono i tanti, troppi silenzi familiari.

Dora comincia a saltare in alto, lo fa al fianco di ragazze, lo fa da travestita, sfidando il gentil sesso in un percorso obbligato che gli riserva fama e vittorie. Le altiste dell’epoca non possono competere: sono diverse da quelle moderne, sono giovani donne dal fisico modesto, suffragette dell’atletica spinte dal coraggioso fuoco emancipatore.

In aria, librandosi sopra l’asticella, il fu Heinrich si sente libero, lontano da sopracciglia alzate, da frasi malevole. Le avversarie sono stranite, quelle gambe hanno forme eccessivamente nerborute, quel petto è troppo diverso dalle loro linee morbide, addolcite da una Germania in costante crescita economica.

Negli anni ’20, difatti, l’economia e il popolo tedesco stanno cambiando rapidamente, sospinti dall’incessante ascesa del partito Nazionalsocialista. Dora si trova in brevissimo tempo dall’essere emarginata nelle strade di Brema, a rappresentare il Terzo Reich davanti a migliaia di tedeschi.

Alle Olimpiadi di Berlino 1936, torbido carosello propagandistico di Hitler e soci, la diciassettenne Dora compete con le migliori al mondo. Prende il posto della sua sfortunata compagna di stanza, l’ebrea Gretel Bergmann, allontanata a poco meno di un mese dall’inizio della manifestazione per il suo retaggio religioso.

“Ratjen non si faceva mai vedere nudo in camera, era misterioso e strano, le altre ragazze pensavano fosse un uomo. Io, sinceramente, no…”

Dirà in seguito la Bergmann, confessando lo scetticismo sull’effettivo genere di Ratjen durante il ritiro preolimpico. Dora Ratjen, davanti a un Olympiastadion gremito di gerarchi e funzionari nazisti, salta 1.58. Arriva appena sotto il podio, staccata di soli due centimetri dal terzetto Odam, Csák e Kaun. La Germania intera applaude la sua prestazione. 

“Favorisca i documenti prego”

Nel 1938 la diciannovenne Dora Ratjen è l’altista più in forma del mondo. Stabilisce il record europeo superando un incredibile 1.70. Poi, in un anonimo giorno autunnale, viene fermata sul treno da quello che, apparentemente, sembra un semplice funzionario ferroviario. È un ispettore scelto, è la fine della sua carriera sportiva.

Il Reich scopre la vera identità sessuale della prodigiosa altista di Brema. Onde evitare scandali internazionali si limita a bruciare dossier e medaglie, intima al fu Dora di tornare a indossare i panni maschili e confina il ragazzo nella sua città d’origine.

“Ratjen ammise apertamente di essere contento che il gatto fosse uscito dalla borsa”

Heinrich Ratjen, che fu Dora, liberato dal peso di una vita sparisce dalle scene pubbliche. Nessun giornalista riesce, lungo tutto il corso del ventesimo secolo, a raggiungere e oltrepassare la robusta cortina d’anonimato creatasi attorno all’atleta olimpico.

Il ‘Time’ ipotizzerà un complotto ordito dal governo nazista, trattando il ragazzo di Brema alla stregua di un agente speciale incaricato dalla Gioventù Hitleriana di dominare il mondo del salto in alto. Il ‘Der Spiegel’ risponderà duramente a queste accuse, certificando la buona fede (anche se fa strano a dirsi), l’imbarazzo e l’incredulità degli alti funzionari tedeschi alla luce della scoperta-bomba.

Heinrich Ratjen vivrà nella sua Brema fino al 2008. Farà il barista. I conoscenti lo definiranno come un uomo silenzioso, enigmatico e controverso. Nessuno l’ha più visto saltare in alto.

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