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Converse Pro Leather, la scarpa del Dottore

Se Julius Erving cambiò il basket, i suoi piedi cambiarono la cultura urban

Era un artista, Julius Erving. Un profeta aereo dalla chioma afro, dall’innata padronanza del tempo e dello spazio, dalla capacità di dominare tabelloni e ritmo, parquet e fantasia. “Non ci sarebbe stato MJ senza Dr J”, avrebbe detto a distanza di anni ‘His Airness’ Michael Jordan. E difficile è pensare il contrario. Perché lo strumento che suonò MJ, difatti, quella sfera arancione precedentemente giocata ad altezza d’uomo, venne accordato da un predecessore con lo stetoscopio al collo e le Converse ai piedi.

sugar ray robinson

IL DOTTORE IN NBA

Erving sbarcò a Philadelphia nel 1976, in concomitanza con l’assorbimento della secondaria ABA nella palpitante NBA. Da stella nei suoi New York Nets si trovò a guidare i Sixers. Il ‘Dottore’ si palesò di fronte a nuovi pazienti, di fronte a un nuovo pubblico fremente, pronto a seguirne acriticamente usi e costumi, pronto a farsi inondare da illusioni ottiche.

Nella città dell’amore si consolidò l’aura dell’unico uomo in grado di auscultare i ferri da altezze vertiginose. Sul legno incrociato del ‘The Spectrum’ prese definitiva forma una pallacanestro pizzicata da note funk e soul, R&B e jazz. Negli assoli di Erving cominciarono ad alternarsi spin-move sofisticati, finger-roll in piano sequenza e cambi di direzione dal sapore rivoluzionario.

Le sere al fianco del ‘Dottore’ divennero eventi mondani, happening artistico-culturali, viaggi onirici nell’enigmatica ed eccitante genesi del basket moderno. Erving divenne icona, icona sportiva e stilistica. Elegante nel pitturato, elegante nell’eloquio, con un’ammorbante capacità di propagare bellezza.

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LA STELLA AI PIEDI, LE CONVERSE PRO LEATHER

“Le Pro Leather sono state un cambiamento epocale, la vera evoluzione dalle scarpe di tela. Anche il loro look era fuori dagli schemi, erano un’opera d’arte”

Lo sbarco di ‘Dr J’ a Philly coincise anche con la creazione di una nuova tipologia di scarpa da gioco, quella Converse Pro Leather che, una volta calzata dal 6 dei Sixers, sarebbe diventata oggetto di culto per intere generazioni.

Le Pro Leather, con la loro silhouette austera e raffinata, con la loro tecnologia innovativa e con la stella a cinque cerchi ricamata sulla pelle, furono perfetta incarnazione materiale dell’estro ervingiano. Furono, soprattutto, snodo fondamentale per l’evoluzione del concetto di sneaker.

“Da giovane avevo delle scarpe per il ‘mondo esterno’ e delle scarpe per la palestra. Durante il mio ultimo anno a Philadelphia vidi tutti sugli spalti con delle scarpe da ginnastica ai piedi”

Il trampolino degli anni ’80 e le planate di ‘Dr J’ modificarono i dogmi del mondo fashion, li riscrissero, esportando la moda da parquet nel quotidiano, innescando un processo impossibile da estinguere.

DA DR J A MJ, UNA STELLA TRA I GIGANTI

Le Pro Leather si videro presto calzare da altri mostri sacri della palla a spicchi. Figure mitologiche, che regalarono al brand del Massachusetts una cassa di risonanza senza precedenti.

Larry Bird e Magic Johnson le colorarono di biancoverde e gialloviola, Michael Jordan di celeste, vincendo il famoso titolo NCAA ’84 con i Tar Heels di North Carolina.

Contemporaneamente esondarono inevitabilmente nelle strade, contaminando la street culture, movimenti urbani come lo skate e l’hip hop, vedendosi declinate in vesti non pensate per loro in origine.

Il fluire del tempo le ha consegnate alla nostalgia prima, al rifiorire contemporaneo poi, con una nuova linea prodotta da Converse proprio quest’anno e con varie collaborazioni con brand del calibro di Stüssy e Comme des Garçons.

Se oggi le Pro Leather vengono indossate da celebrità come Jay Z, Jason Segel, Cara Delevingne e Daniel Radcliffe, se oggi una vasta fetta della nuova generazione cestistica USA, quella degli iper estetici Kelly Oubre Jr., Shai Gilgeous Alexander e Natasha Cloud, si è legata al marchio fondato da Marquis M. Converse nel 1908, lo si deve ad una sola figura.

A quell’artista, a quel profeta aereo dalla chioma afro, capace di cambiare il basket come la cultura popolare. All’inimitabile ‘Dottore’.

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