Behind the Lights – Teo Giovanni Poggi

Il fotografo romano che vive il mondo outdoor come propria casa e filosofia personale
Dal passato di Teo Giovanni Poggi affiorano originali discrepanze. Se è ironico pensare che un uomo allevato dalla ‘Città Eterna’ non abbia interesse per il calcio, è altrettanto unico il fatto che una delle lenti più ispirate del panorama outdoor contemporaneo abbia assaporato concretamente la montagna solo dopo lo scoccare della maggiore età. È credibile e coerente, invece, il percorso umano e professionale di un arrampicatore creativo, o di un creativo arrampicatore, capace di sviluppare il proprio immaginario attingendo dalle scene, dagli input e dalle muse più disparate.
“Il mio rapporto con la montagna è atipico. Sono nato e cresciuto a Roma, non mi piacevano gli sport con la palla e mi sono avvicinato all’arrampicata, incontrando quella che sarebbe diventata non solo una passione, ma anche un modo di vivere. Quando mi sono trasferito a Londra, ho ripreso ad arrampicare e ho fatto un viaggio in Thailandia insieme a due amici, dove ho affrontato la mia prima esperienza in falesia per un mese consecutivo. Una volta rientrato a Londra ho deciso di prendere il patentino per lavorare sulle funi e ho iniziato ad alternare 3 mesi di lavoro con 3 mesi di arrampicata in giro per il mondo. Prima di Londra non avevo mai sciato, non avevo mai visto e vissuto la montagna realmente, l’avevo solo immaginata in palestra…”
Scatto fisso e cinema d’autore, leggendari fotoreporter e fanzine underground: la vorticosa evoluzione artistica di Poggi, iniziata con una macchina analogica trovata in casa, nel tempo ha preso la forma di nozioni e sensibilità, imboccando la direzione della narrazione visuale, dell’ispirata necessità di documentare luoghi attraverso sensazioni ed esseri umani attraverso gesti e percezioni. La produzione di questo giovane maestro della composizione oggi risulta una corrente filosofica a sé stante, votata all’esplorazione del dettaglio, all’analisi di una rara antropologia naturale, utilizzata come vettore per definire l’universale condizione del presente.


“I miei punti di riferimento visuali sono sempre stati fotografi che mi piace definire ‘veri’. Parlo per esempio di Gianni Berengo Gardin e della sua capacità di osservare la vita e la realtà, o di Franco Fontana, che questa realtà spesso plasma. A livello internazionale amo il lavoro di fotografi come Alec Soth, così come Daniel Shea e la sua capacità di evocare piccole storie attraverso singole immagini. Entrambi hanno una chiara e definita identità che ammiro. A Londra sono stato un corriere e ho amato una sottocultura ciclistica che per me continua a voler dire famiglia. I corrieri sono degli ‘artisti urbani’ con un preciso processo creativo fatto di linee e flow, dove il corpo e l’istinto diventano fondamentali. Quella scena mi ha introdotto alla produzione di fanzine, che si sono trasformate nella mia porta d’ingresso per la fotografia commissionata. Quando sono rientrato a Milano, invece, ho avuto la fortuna di essere assistente di Leonardo Scotti, che oltre ad insegnarmi molto è diventato un caro amico. Prima ancora della fotografia, però, l’idea di trasmissione delle emozioni mi è arrivata dal cinema, dalla potenza delle immagini in movimento e dalla letteratura. Registi come Gus Van Sant e scrittori come Jorge Luis Borges insegnano l’attenzione al dettaglio umano e naturale, al simbolismo, ai concetti d’ineffabilità e destino. In fondo ogni cosa può essere un vettore d’emozioni, anche una linea su un muro…”
È proprio qui, in quella che Poggi definisce come l’intima interconnessione tra ogni elemento, che si annida una visione tanto stratificata da un punto di vista letterario, quanto spontaneamente brillante. Tra chiare metafore ed echi lontani, il flusso visuale di questa lente itinerante riesce a plasmare tempi e significati indefiniti, destinati ad un’interpretazione individuale, ma riconducibili ad ideali collettivi e junghiani. Sostenibilità ambientale, progresso sociale e diversità umana sono solo alcuni dei temi che la pratica di Poggi riesce a convogliare ed esprimere.



“Mi piace pensare che la mia fotografia possa avere una valenza sociale. Dal mio punto di vista non esiste natura separata dalla società e dal mondo. Siamo tutti natura. Lo possiamo capire osservando i suoi pattern e le sue modalità di sopravvivenza e coesistenza: le dinamiche del nostro ecosistema esistono dal principio di ogni cosa, all’interno di questa catena tutto può influenzare tutto. Credo sia utile riflettere su questo tema e credo che la natura possa fornire un’infinita serie di simboli e metafore. Ogni volta che posso scappo da Milano e mi ritiro sulle Alpi Centrali, dove dopo qualche ora percepisco il mutamento del mio stato d’animo. Boschi e montagne mi ispirano, ma allo stesso tempo la città mi regala una meravigliosa densità di esseri umani, un melting pot fertile. Ogni persona ha la propria storia, e tutte queste storie e personalità riescono incredibilmente a coesistere. Per questo la città è una creatura enorme che non smette di attirarmi: la manifestazione e l’osservazione della diversità umana, così come di quella naturale, fanno scaturire domande esistenziali e riescono anche a fornire delle risposte”
Un altro tipo di risposta all’ascesa artistica di Teo Giovanni Poggi è quella del mercato: Gramicci, The North Face, Satisfy e ROA sono alcuni dei brand che ultimamente hanno fatto ricorso alla prospettiva concettuale di questo talento romano. Il suo equilibrio tra consapevolezza tecnica e pura bellezza è ormai sinonimo di campagne inconfondibili, ma anche di rivincita: quella di un adolescente capitolino che veniva preso in giro per le proprie scarpe da trekking e che oggi, grazie alla sua vena artistica e alle sue skill sportive, sta riuscendo nell’impresa di affrescare un nuovo cosmo estetico e di strutturare una vita votata alla libertà.



“Ero l’unico che indossava le Salomon al liceo, per questo adesso mi fa sorridere che tanti brand outdoor siano diventati ‘cool’… Ai tempi venivo preso in giro per le mie scarpe e ricordo che lo stesso avveniva per i boy-scout e per il loro legame con la natura. Questa transizione mi fa piacere, la nuova percezione outdoor è una rivincita, ma contemporaneamente mi fa riflettere sul processo di mercificazione ed espropriazione che è in atto. Lo stesso processo che ha coinvolto in passato la cultura skate. È fondamentale capire e far capire cos’è vero e cosa no. Ora vorrei continuare a organizzare viaggi che siano sia ricerche personali, che progetti commissionati, condividendo questo tempo e queste avventure con le persone che mi sono più vicine. Insieme al mio caro amico Alex Webb (altro volto celebre della fotografia outdoor contemporanea ndr) sogniamo le grandi pareti e le avventure dell’alpinismo mitico”
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