Behind the Lights – Kevin Couliau

Il basket come opera d’arte, come rito sacro. Alla scoperta del fotografo francese e dei suoi scatti intrecciati tra Obama e i campetti di Hong Kong
Esprimere l’estetica del basket, esprimere l’estetica attraverso il basket. Kevin Couliau ha fatto della pallacanestro, specie di quella di strada, una sorta di culto personale, d’ispirato mezzo per ritrarre persone comuni e stelle NBA, illustri politici e culture distanti tra loro.

Los Angeles, 2018 / Hong Kong, 2016

Doin’ It In The Park – Lefrak City, NYC – 2010 / Kampala, Uganda – 2017
Il fotografo francese è assurto a punto di riferimento per un mondo, quello cestistico, costantemente ricercato dal panorama artistico, ma non sempre descritto nella sua interezza, nelle sue sfaccettature più urbane, più sociali. Un mondo con cui Kevin è entrato in contatto casualmente durante la sua infanzia.
“Mio fratello maggiore era film-maker e skater professionista, io l’ho sempre seguito tra video e run a Nantes, città in cui siamo cresciuti. Contemporaneamente ho iniziato a fare i primi tiri a canestro. Si giocava al campetto, si andava in skate, si stava tra amici. Notando il poco risalto dato al lato estetico del basket outdoor, ho avuto una sorta di epifania, di chiamata all’azione. Ho deciso di ritrarre i campetti che frequentavo con la macchina fotografica, una vecchia Canon EOS 5 che avevamo a casa. Il mio percorso come fotografo è iniziato così, in modo molto naturale. Nei campetti, come negli skatepark, trovavo e trovo tuttora dei contenuti visivi unici: il contesto, l’architettura, l’unicità delle righe tracciate a terra, dei palazzi, dei tabelloni… Ogni campo ha un proprio design ben definito”

Lew Alcindor by Richard Avedon, 1963
Forme artistico-sportive, quadri ottici, involontarie composizioni visive popolate dal cuoio, dal fruscio delle retine e dai polsi spezzati di milioni di adepti. Negli scatti di Kevin i campetti mutano essenza divenendo chiese, eremi profani: concetto efficacemente riassunto nel titolo di una delle sue serie più rappresentative, ‘The Park is my Church’.
E proprio come un atto di preghiera, di devozione estrema, è stato rappresentato il basket da Paul Hosefros e Richard Avedon: principali fonti d’ispirazione per il cammino fotografico di Couliau.
“In questi due scatti trovo l’essenza della mia ricerca artistica. Nell’opera di Avedon viene ritratto un giovane Lew Alcindor (non ancora divenuto Kareem Abdul-Jabaar ndr). È uno scatto iconico, in cui si sprigiona la personalità di un uomo destinato a segnare lo sport e la società intera. Il fatto che Alcindor non venga estrapolato dall’ambiente rende lo scatto vero, significativo, estremamente potente e per nulla artificioso. Nello scatto di Hosefros trovo invece una duplice valenza: fotografica e simbolica. Perché la composizione è meravigliosa, penso sia quasi superfluo dirlo, ma meraviglioso è anche il concetto racchiuso in questo momento: la passione totalizzante per il Gioco, un Gioco che non si ferma anche davanti a fattori esterni straordinari”

The Game Went On by Paul Hosefros, 1975 ( New York Times )
Le foto di Avedon e Hosefros attecchiscono nella New York dei canestri, quella Grande Mela che storicamente viene considerata patria della pallacanestro underground: dove ogni Avenue corrisponde ad un campetto, e viceversa. Una terra promessa, che Kevin ha avuto modo di esplorare in lungo e in largo, con uno Spalding tra le mani.
“Andare a New York per realizzare il progetto ‘Doin’ It In The Park’, un tour in svariati campetti sparsi per la città, è stata la realizzazione di un sogno. New York è la mecca per qualsiasi streetballer: lì ogni campo ha la propria anima, la propria storia, le proprie leggende. Un’altra città ricca di teatri cestistici en plain air è Hong Kong. Mi ha sorpreso, devo essere sincero, c’è una concentrazione massiccia e insospettabile di campetti. Puoi osservare questi luoghi residenziali sovrappopolati, questi enormi palazzi-alveari che si affacciano su una coppia di canestri: i campetti sembrano piccole oasi immerse tra giganti di calcestruzzo”
New York e Hong Kong sono solo una minuscola parte dei luoghi attraversati da Kevin. Una costante ricerca del sacro graal cestistico passata anche dall’Africa, dove l’asfalto prende il colore della rossa sabbia, dove artigianali cerchi posti a 3 metri d’altezza permettono a giovanissimi di sognare l’NBA.
“Sono stato in Senegal, Sudafrica, Somalia, Sudan, Kenya… Sono stato in posti remoti, in campi profughi, tutti luoghi accomunati dalla presenza di un pallone che rimbalzava. Ho seguito in prima persona anche il progetto ‘Giants of Africa’, diretto dal Presidente dei Raptors Masai Ujiri. Queste esperienze nel continente africano mi hanno fatto comprendere il valore sociale della pallacanestro, quanto possa impattare sulle persone, quanto possa trasmettere loro”

Giants of Africa, South Sudan, 2018
Luoghi, ma anche persone, personaggi. Grazie a ‘Giants of Africa’ Kevin ha avuto l’opportunità d’immortalare nientemeno che Barack Obama. L’ha fatto, manco a dirsi, su un campetto keniota fresco d’inaugurazione.
“Obama era nella mia top list degli uomini da ritrarre. Si è presentata l’occasione in Kenya e, anche se ho avuto poco tempo a disposizione, mi è bastato per riflettere sull’effettiva influenza geopolitica di questo Gioco e su quanto la pallacanestro abbia plasmato l’uomo Obama. La cosa che mi ha colpito, da praticante, è stata vederlo arrivare sulla linea del tiro libero, fare un paio di palleggi in mezzo alle gambe e segnare. Uno su uno, in tipico stile Obama. Un’altra stella, in questo caso sportiva, che ho avuto l’onore di fotografare è Giannis Antetokounmpo. Credo che il greco sia ben più di un semplice atleta: è un simbolo, con le sue origini nigeriane, dell’Europa moderna ed è l’essere umano più impressionante, a livello fisico, con cui abbia lavorato. Ha gambe e braccia interminabili, un corpo che chiunque di noi appassionati può solo sognare. L’unico difetto è che, proprio per queste leve infinite, non è semplicissimo da fotografare”

Giannis Antetokounmpo, Athens – 2018 / Barack Obama, Kenya – 2018
Semplicissimo è invece l’obiettivo attuale di Kevin: proseguire la propria liaison con il basket, implementare ulteriormente la cultura del Gioco, continuare ad immortalarne il lato più sacro ed estetico.
“La mia ricerca di questi luoghi mistici continuerà. Adesso in molti in giro per il mondo stanno dipingendo i campetti, li stanno rendendo piccole opere d’arte. La mia ricerca, però, si concentrerà sui canestri dall’estetica naturale, sui quei campi inconsapevolmente artistici. Al momento, durante questo strano periodo storico, mi sto concentrando sulla stampa di un libro monografico riguardante Hong Kong e sulla ristampa delle prime due issues di Asphalt Chronicles”
Isola di Burano, una chiesa segnata dalle correnti lagunari, i colori tenui e un tabellone che appare dal nulla. Ci lascia con quest’immagine, Kevin, un’immagine che definisce un’indagine raffinata, un’indagine che non ha mai fine.

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