Another Championship

I campi portoghesi come riflesso del calcio mondiale
Dicono sia la terra del divino Cristiano Ronaldo. Dicono fosse la terra di Eusébio, l’uomo che sul prato verde riusciva ad essere contemporaneamente ‘Pantera’ e ‘Perla Nera’. Dicono. Ma questa terra in realtà non appartiene a uomini o profeti, non appartiene a individui o eroi, appartiene a un’entità superiore che si propaga paese dopo paese, cancha dopo cancha. Appartiene al calcio. Perché in Portogallo tutto ha una forma sferica. Ogni respiro, ogni pensiero, ogni parola, ogni panorama. Non importa se i tuoi occhi incrociano zone desertiche o aspri promontori, strapiombi oceanici o logori quartieri metropolitani: ovunque osserverai la sagoma rettangolare di una porta, ovunque percepirai il verbo della religione più profana e rilevante della società moderna.




Nel più estremo avamposto occidentale d’Europa lo sentirai chiamare ‘futebol’, in questi campi percepirai la presenza di azioni passate, di connessioni presenti, di presenze future. Scoprirai che il Portogallo è un esotico specchio del mondo: un mondo che è pronto ad accogliere, come ogni quattro anni, la più mistica celebrazione del pallone. Sono i Mondiali, sono l’esaltazione dell’elemento più cosmopolita ed eterogeneo della Terra, sono la concretizzazione calcistica di aspirazioni, culture e società, sono la trasposizione elitaria di tutto quello che nasce e cresce in questi piccoli sacrari ritratti dalla lente di Bruno Santos. Siamo in Portogallo, ma siamo ovunque. Siamo semplicemente nel calcio, in quella che Pasolini descriveva come “l’ultima rappresentazione sacra del nostro tempo”.





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